Il dialogo fecondo tra musica e fede


Si è svolto nella basilica di Santa Maria in Ara Coeli al Campidoglio, l’incontro dal titolo “In dialogo: fede e musica” moderato dal direttore del Messaggero Mario Orfeo. Protagonisti dell’evento il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, e il Maestro Riccardo Muti.
L’incontro si inserisce nell’ambito del progetto “Una porta verso l‘infinito. L‘uomo e l‘Assoluto nell‘arte”, avviato nel dicembre 2011 dall‘Ufficio Comunicazioni Sociali del vicariato di Roma, realizzato in collaborazione con il “Cortile dei gentili” diretto dallo stesso cardinale Ravasi.

“La musica, come la fede, – afferma mons. Ravasi – non descrive, non rappresenta, ma evoca. Ti costringe sempre ad andare oltre”. E’ necessario (e un certo tipo di musica liturgica moderna ce lo dimostra) “ritrovare quello straordinario intreccio tra il lumen (la rappresentazione, i segni) e il numen (il sacro, il mistero)” che costituisce la liturgia. Per questo, – specifica Ravasi – “oltre a rivivere la grande esperienza del passato, abbiamo bisogno di grandi musicisti contemporanei che ci consentano di vivere la liturgia con un nuovo linguaggio”.  Secondo il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura “la didattica dovrebbe ritornare all’interno dei seminari in modo che i preti non possano più accontentarsi di certe offerte”, e “il desiderio di una musica chiara e facilmente comprensibile”, non dovrebbe tradursi “nella scelta del banale” perché “la dimensione del sacro (numen) deve essere sempre custodita”.

“La musica non è comprensione ma rapimento”, sostiene il Maestro Riccardo Muti, al suo secondo impegno davanti al pubblico romano, dopo quello con gli studenti della Sapienza. E’ pertanto necessario “riportare nelle chiese le grandi composizioni sacre che sono tra i capisaldi della letteratura musicale”, e “recuperare un certo decoro nelle musiche da eseguire in chiesa”.

“Credo – afferma il celebre Maestro – che la musica abbia la grande capacità di elevare lo spirito di chi viene a pregare, ma anche di chi non crede”.  “Tutto l’universo è pervaso di suoni che noi non possiamo comprendere né sentire, ma che ci attraversano e ci permettono di essere degli esseri creati per la musica”. Muti – dialogando con mons. Ravasi a proposito del rapporto fede-musica e riferendosi in modo specifico al “Libera me Domine” del Requiem di Verdi – si chiede: “Come fanno certi direttori a dirsi atei? Se interpreti una musica e anche un testo ti ci devi calare dentro, e se ti ci cali qualche dubbio ti deve venire”; e ancora: “È possibile ‘sentire’ questa musica concepita nel senso del dolore, della morte e dell’aldilà, pensando che con la nostra morte tutto finisca?”.

A tal proposito, alcuni anni fa, Benedetto XVI – facendo riferimento alla Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II che considera il canto sacro come parte integrante della liturgia solenne (cfr. SC, 112) – affermava: “la musica e il canto sono più di un abbellimento del culto; infatti fanno essi stessi parte dell’attuazione della Liturgia. Una solenne musica sacra con coro, organo, orchestra e canto del popolo non è un’aggiunta che incornicia e rende piacevole la Liturgia, ma un modo importante di partecipazione attiva all’evento cultuale”.

Nonostante il competente giudizio del Pontefice, molti cori sono stati però costretti ad abbandonare gran parte del repertorio classico di musica sacra perché ritenuto eccessivamente spettacolare e fuori luogo per la sacralità di alcune celebrazioni liturgiche, lasciando spazio a composizioni moderne talvolta inadeguate nel testo e nella musica.

(Pubblicato su Vatican Insider)

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