Lo stato di buona salute dell’Insegnamento della Religione cattolica


A trent’anni esatti dall’entrata in vigore dell’intesa che, in attuazione della revisione del Concordato tra Stato e Chiesa, ha regolamentato l’Insegnamento della Religione Cattolica (Irc) in Italia, «spesso si tende a parlare e a presentare nei fatti il nuovo insegnamento dell’Irc ancora con le categorie del vecchio insegnamento. […] In questi trent’anni, il quadro è decisamente cambiato e siamo tutti obbligati a prenderne atto traendo le dovute conseguenze dalle trasformazioni in atto». Sono le parole introduttive del segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, dettate durante la presentazione della quarta indagine nazionale sull’insegnamento della Religione cattolica, «Una disciplina alla prova», edita dalla Elledici.

Lo studio è stato promosso dall’Istituto di Sociologia dell’Università salesiana e da alcuni uffici della Conferenza episcopale italiana. La ricerca – curata da Sergio Cicatelli e Guglielmo Malizia – è la quarta di una serie avviata inizialmente dagli Istituti di Sociologia e di Catechetica dell’Università salesiana e proseguita ultimamente anche con il sostegno dei citati uffici della Cei.

«Se con il primo Concordato – ha precisato Galantino – lo scopo dell’insegnamento religioso era la formazione cristiana degli alunni, oggi l’Irc mira alla formazione umana degli studenti, una formazione che non può dirsi completa senza essersi interrogata sulla dimensione religiosa della persona». In tal senso non è possibile comprendere la cultura e la società italiane «senza riconoscere nella Chiesa un soggetto che ha segnato in maniera decisiva l’identità collettiva dell’intero Paese. Motivazione che non mi sembra possa essere messa da parte con superficialità e sotto i colpi di un ideologismo tanto cieco quanto arrogante».

Lo stato di salute dell’Irc, rispetto alle previsioni, appare in buona salute; lo rivelano i risultati dell’ultima ricerca di settore (condotta in sette diocesi: Novara, Verona, Forlì, Siena, Roma, Cagliari e Acireale), che ha coinvolto un campione rappresentativo di circa 3mila docenti di religione e oltre 20mila studenti, con un tasso di adesione a questa particolare disciplina di poco inferiore al 90%.

La ricerca ha voluto in prima battuta descrivere le condizioni dell’Irc attraverso le risposte fornite dagli insegnanti; successivamente sono state verificate le conoscenze religiose acquisite dagli studenti in cinque diversi momenti della loro carriera scolastica (quarta primaria, prima secondaria di I grado, prima, terza e quinta secondaria di II grado).

Gli insegnanti di scuola statale interpellati hanno individuato: una buona capacità di rispondere alle domande di senso degli studenti (67,4%), i rapporti che si creano tra insegnante e studenti (62%), la possibilità di affrontare problematiche morali ed esistenziali (61,5%), la promozione del dialogo interreligioso e del confronto interculturale (57,3%). I punti di debolezza messi in luce riguardano invece: la poca incidenza della valutazione (59,1%), lo scarso numero di ore (49%) e la persistente confusione con la catechesi (46,3%).

La ricerca che è stata presentata sottolinea come, in questi ultimi trent’anni, l’Irc abbia retto bene alla prova della facoltatività, mantenendo un tasso di scelta ancora oggi elevato.

Nell’ambito di questa ricerca gli insegnanti sono contenti di insegnare Religione e gli studenti che si avvalgono dell’Irc, a loro volta, sono contenti della loro scelta, e in un contesto come quello italiano – afferma Galantino – «in cui si raccolgono gravi segnali di malessere, di disagio e di demotivazione tra insegnanti e studenti, questi dati sono sicuramente consolanti e non possono essere taciuti. Il merito di questi risultati va in buona parte attribuito agli insegnanti di religione, che in questi trent’anni si sono formati seriamente nelle facoltà teologiche e negli istituti superiori di scienze religiose».

Chi, non avvalendosi dell’Insegnamento della Religione cattolica, usufruisce di un’ora in meno (una prassi adottata, purtroppo, in diverse scuole, dove si permette all’alunno di entrare un’ora dopo o di uscire un’ora prima da scuola), «ciò – denuncia Galantino – è frutto della “pigrizia mentale” di chi “ha ritenuto opportuno non istituire le materie alternative”. Questo, magari, avviene “un po’ per risparmiare e un po’ per mettere all’angolo”» (Sir).

Il Segretario generale della Cei invita, infine, anche a «una più chiara assunzione di responsabilità sia da parte di chi ha responsabilità di governo sia da parte di chi, a diversi livelli, ha la responsabilità della formazione» degli insegnanti di Religione, evitando di arroccarsi su posizioni tipiche di chi è sopraffatto dalla «sindrome da accerchiamento»; «una sindrome che porta ad attivare soltanto difese a oltranza e diversivi di ogni genere».

Scritto per Vatican Insider

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