“Perdiamo, perché siamo un’Europa senza radici”


generic«L’evento recentemente vissuto in Francia ci ha scosso, ci farà pensare per un paio di settimane, e poi ripiomberemo in una società che vive ormai lontana dalle proprie radici. Sapete perché perdiamo? Non perché i terroristi sono più intelligenti o meglio organizzati… perdiamo perché siamo senza radici. La nostra Europa si erge come una grande Torre di Babele, ma senza far più riferimento alle sue origini cristiane». È l’amara costatazione espressa da Robert Cheaib – docente di Teologia presso quattro prestigiose pontificie facoltà teologiche di Roma – durante un incontro a Palermo, in occasione della chiusura del V centenario della nascita di santa Teresa d’Avila.

Cheaib riflette sulla sorte dell’uomo «caduto in bestialità» – così come ricorda la grande riformatrice del Carmelo – ridotto a vivere al di fuori di se stesso, con le bestie che si aggirano attorno al «castello dell’anima». L’Europa ha voluto tagliare le radici cristiane che l’hanno generata, e come diceva Cicerone: «Chi non conosce il proprio passato non avrà alcun futuro davanti a sé». Per Robert Cheaib la vocazione di ogni essere umano è quella soprannaturale, legata a Dio. «Questo decentramento vissuto oggi in Europa – prosegue il Teologo libanese – è deleterio. Non abbiamo niente da difendere o per cui lottare, viviamo solo dentro un circolo economico-consumistico, fatto di apparenze, dentro un circolo di immanentismo che non offre all’uomo alcun fondamento capace di commuovere l’uomo oltre se stesso e i propri bisogni immediati».

A Cheaib, abbiamo chiesto di rispondere a due domande.

In che modo possiamo parlare di contrasto o perdita dei valori religiosi tra occidente e oriente?
«Io ho vissuto l’esperienza del mondo orientale e del mondo occidentale. Parlo a livello personale, facendomi anche voce di diversi amici o conoscenti musulmani che quando guardano all’Occidente percepiscono una mancanza di valori, un’assenza di coordinate per un vivere degno dell’uomo. Questo è aggravato o contrastato dal fatto che, nella cultura orientale, certi valori (forse anche erroneamente) diventano assoluti. Ci troviamo oggi in una particolare situazione che non è fatta primariamente di guerra armata, ma di un contrasto di valori. Tale contrasto viene acuito dalla dimensione religiosa, dalla dimensione bellica che hanno assunto alcune realtà dell’islam. C’è infatti un islam che professa una religione di pace e proibisce l’uccisione di altri uomini, ma c’è anche – ed è empiricamente innegabile – l’islamista che vorrebbe estendere il domino di Allah su tutto il mondo, in risposta a un appello che si reputa divino, citando versetti del Corano; il testo sacro dell’islam si presta di fatto all’interpretazione degli uni e degli altri! Ora, cosa proponiamo noi in cambio? Quando diciamo che i nostri valori occidentali vinceranno, di che cosa parliamo e cosa offriamo veramente? È una domanda che pongo anche a me stesso – visto che respiro con i due polmoni della cultura orientale e di quella occidentale – e vedo che manca al mondo in cui attualmente vivo la prospettiva. Abbiamo pietre sparse che non riescono a costituire un mosaico comprensibile e significativo. Il nostro nichilismo felice, la nostra gaia incoscienza, il nostro pensiero debole ci lasciano disarmati e facilmente annientabili da qualsiasi ideologia forte. Nella lotta tra radicalismo e mancanza di radici l’esito è assicurato e senza suspense».

Quanto può essere dannosa, oggi, una fede vissuta fuori dalla realtà e in modo sentimentale?
«Nel libro di Clive S. Lewis, “Le lettere di Berlicche”, è interessante osservare ciò che il diavolo adulto dice all’inesperto Malacoda, per addestrarlo nell’arte di far allontanare l’uomo da Dio: “Il fatto stesso di discutere sveglia la ragione del tuo paziente, e, una volta che sia sveglio, chi può prevedere i risultati che potrebbero seguire? Anche se in qualche caso specifico un seguito di ragionamenti può esser distorto in modo da farlo finire in nostro favore, t’accorgerai d’aver rafforzato nel tuo paziente l’abito fatale di prestar attenzione ai problemi universali e di allontanarlo dalla corrente delle immediate esperienze sensibili”. Questo significa che il gioco del demonio, il gioco del nulla, è quello di non farci riflettere, né sul rifiuto della religione, né sulla sua accoglienza; producendo così una sorta di “ateismo volgare” – come lo chiamano alcuni sociologi e teologi che studiano il fenomeno dell’ateismo – rispetto a un ateismo ferreo, drammatico, riflettuto. Lo stesso vale per il credente che, vivendo una fede all’acqua di rose, senza senso critico e senza un coinvolgimento integrale della mente e non solo degli affetti, può diventare un vago sentimentalista oppure un radicale fondamentalista, restando in entrambi i casi fuori dal significato vero della fede stessa; un credente pressapochista può diventare, inoltre, una pietra d’inciampo anche per gli altri credenti. A tal proposito, credo che una distinzione seria ce l’abbia regalata il filosofo ateo, Noberto Bobbio, quando dice che: “La differenza rilevante per me non passa tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti; ovvero tra coloro che riflettono sui vari perché e gli indifferenti che non riflettono”».

Scritto per Vatican Insider

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