“Francesco, il giullare di Dio”


Il ricordo di Roberto Rossellini – maestro della cinematografia italiana e fautore del neorealismo per immagini – ci permette, a quarant’anni dalla morte del grande regista, un ripescaggio culturale di grande valore artistico. Rossellini – scrive Goffredo Fofi, saggista, critico teatrale e cinematografico, nel Messaggero di Sant’Antonio di ottobre – fu tra i pochi e forse l’unico nel cinema italiano «a sentire e narrare il bisogno di sacro».

«Francesco, giullare di Dio» (1950), «I sette peccati capitali» (1952), «Giovanna d’Arco al rogo» (1954), «Atti degli Apostoli» (1969), «Agostino d’Ippona» (1972), «Il Messia» (1975) rappresentano, infatti – nella memoria storica della cinematografia d’autore – i cardini di un nuovo modo di raccontare e descrivere il sacro attraverso gli schermi, dove l’espressività e il realismo dei personaggi raccontati offre allo spettatore un maggiore coinvolgimento interiore.

In «Francesco, giullare di Dio» – un film che non riscontrò immediatamente i favori della critica, ma che diventò fonte d’ispirazione per il «Vangelo secondo Matteo» (1964) di un altro grande regista, Pier Paolo Pasolini – vengono messi in scena alcuni episodi tratti da «I fioretti di San Francesco» e dalla «Vita» di frate Ginepro (discepolo di Francesco). «Il film – scrisse Luigi Chiarini, teorico del cinema, sceneggiatore e regista italiano – ha un tono corporeo e umano che riscopre, attraverso la trasfigurazione mistica della leggenda, una realtà toccante perché liberata dalla retorica e dalla letteratura, ma una realtà che diviene terribilmente polemica per chi abbia voglia di esami di coscienza e sia capace di farne». Lo stesso Rossellini a proposito del suo capolavoro cinematografico dichiarava: «In Francesco giullare di Dio io non racconto né la sua nascita né la sua morte; né ho preteso di raggiungere l’esposizione completa del messaggio e dello spirito francescano o di accostarmi direttamente alla formidabile e complessa personalità di Francesco. Ho creduto invece opportuno mostrare i riflessi sui suoi seguaci, fra i quali, pertanto, hanno acquistato rilievo frate Ginepro e frate Giovanni il semplice, che rivelano fino al paradosso lo spirito di semplicità, di letizia che dallo spirito di Francesco promanano».

Il Poverello d’Assisi raccontato da Rossellini può essere considerato ancora oggi un capolavoro di semplicità, umana e concreta; un film che – ribadisce Goffredo Fofi nel Messaggero di Sant’Antonio – «aiuta a comprendere la religiosità francescana delle origini, la purezza di un rapporto così immediato con la natura, con le creature, con il sacro».

Durante l’udienza ai dirigenti e al personale della Rai-Radiotelevisione italiana, nel gennaio 2014, Papa Francesco – elogiando le produzioni a carattere religioso proposte dalla Rai, e ricordando in modo particolare i film «Francesco» di Liliana Cavani, nel 1966, e «Atti degli Apostoli» di Roberto Rossellini, nel 1969 – affermò che «il fare memoria di un passato ricco di conquiste ci chiama a un rinnovato senso di responsabilità per l’oggi e per il domani. Il passato è la radice, la storia diventa radice di nuovi slanci, radice delle sfide presenti, e radici di un futuro, di un andare avanti! Che il futuro non ci trovi senza la responsabilità della nostra identità. Che ci trovi con la radice della nostra storia e andando sempre avanti».

Scritto per Vatican Insider

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