Tito Brandsma, quando la testimonianza diventa martirio


“Nell’esecuzione della sua missione la Chiesa non intende far alcuna distinzione né di sesso, né di razza, né di popolo”. Con questa esplicita affermazione, il religioso carmelitano padre Tito Brandsma, rispose a nome dei Vescovi olandesi all’ordine – imposto dal regime nazista che nel 1940 aveva conquistato l’Olanda – di espellere dalle scuole cattoliche tutti gli ebrei.
Giornalista, docente di Filosofia e di Storia della Mistica all’Università Cattolica di Nimega, Brandsma – conosciuto in tutto il mondo per la sua attività di scrittore e di conferenziere – era considerato dai nazisti una fastidiosissima spina nel fianco.

I tedeschi, infatti, che in soli tre giorni riuscirono a conquistare l’Olanda (dimessa e incapace di opporre resistenza al nemico), temevano i suoi articoli e dovettero faticare a lungo nel tentativo di tenere testa a “Quel professore maligno” (titolo comparso sul Fridericus, un quotidiano berlinese) che tuonava contro i nazisti, accusandoli di vigliaccheria nei confronti degli ebrei: “I nemici e gli avversari di questo popolo sono davvero meschini se ritengono di dover agire in maniera così disumana,  e se in tal modo pensano di manifestare o di aumentare la forza del popolo tedesco, ciò è l’illusione della debolezza”.

Nel 1935 i vescovi olandesi avevano nominato Brandsma “assistente ecclesiastico” dei giornalisti cattolici. Il cinquantanovenne religioso carmelitano continuava a difendere la dignità di ogni essere umano contro le assurde ideologie naziste; egli, in qualche modo, rappresentava la resistenza morale e culturale  del popolo olandese.
La situazione precipitò quando i nazisti pretesero di far pubblicare sui quotidiani cattolici gli annunci del  Movimento Nazionalsocialista Olandese che inneggiavano alla “razza”. Brandsma, il 31 Dicembre 1941, emanò una circolare inviandola a tutti i quotidiani cattolici: “«Le direzioni e le redazioni sappiano che dovranno rifiutare formalmente tali comunicati, se vogliono conservare il carattere cattolico dei loro giornali; e questo anche se un tale rifiuto conducesse il giornale ad essere minacciato, ad essere multato, ad essere sospeso temporaneamente o anche definitivamente. Non c’è niente da fare. Con questo siamo giunti al limite». In caso contrario «non dovranno più essere considerati cattolici… e non dovranno né potranno più contare sui lettori e sugli abbonati cattolici, e dovranno finire nel disonore»”.

Nel gennaio del 1942 Padre Tito Brandsma venne arrestato e condotto ad Amersfoort, “campo di passaggio”, dove i prigionieri attendevano la deportazione.
E’ la testimonianza di un’infermiera a raccontare gli ultimi istanti di vita del coraggioso giornalista carmelitano. La donna, con il compito di iniettare il veleno mortale ai prigionieri, era odiata e insultata da tutti; rimase però scossa nel constatare la delicatezza e il rispetto riservatole da quell’anziano sacerdote che – racconta l’infermiera – «Una volta mi prese la mano e mi disse: “Che povera ragazza è lei, io pregherò per lei!”».

Il 25 luglio 1942 giunse l’ordine di far tacere per sempre la voce di quel coraggioso sacerdote e giornalista; l’infermiera iniettava l’acido fenico nel braccio della vittima mentre Padre Brandsma infondeva nel cuore del suo carnefice la grazia di Dio. Durante il processo di canonizzazione quella stessa infermiera racconterà di non aver più potuto cancellare dalla sua memoria il volto di quel prete su cui pareva vi fosse scritto qualcosa che riguardava l’intimità del suo cuore, “Lui – disse la donna – aveva compassione di me!”… come Cristo.

Pubblicato su Vatican Insider

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