“Borghesi, ch’è più il fumo che l’arrosto, / signori ambiziosi e senza testa, / o gente a cui ripugna stare a posto, / quante sono le rane come questa!” (Jean de La Fontaine).
E’ la sentenza finale tratta dal celebre racconto di Jean de La Fontaine, “La rana e il bove”, una delle favole (pubblicate nel 1668 e nel 1694, talvolta in ripresa ai temi della favolistica greco-romana) che resero famoso lo scrittore francese vissuto in pieno seicento.
Come una piccola rana di fronte alla mole di un bue, gonfiamo talvolta l’orgoglio con l’ambiziosa e sciocca convinzione di poter essere sempre superiori agli altri. Il cristianesimo ci ha insegnato, invece, a misurare la grandezza della dignità dell’uomo nell’umiltà e nella semplicità. Lo ricordava già nel primo secolo – in un analogo racconto da cui La Fontaine probabilmente trae spunto – Fedro: “Inops, potentem dum vult imitari, perit” (Il debole, quando vuole imitare il potente, muore).
Godetevi tutto il racconto:
Grande non più d’un ovo di gallina
vedendo il Bove e bello e grasso e grosso,
una Rana si gonfia a più non posso
per non esser del Bove più piccina.
– Guardami adesso, – esclama in aria tronfia, –
son ben grossa? – Non basta, o vecchia amica -.
E la rana si gonfia e gonfia e gonfia
infin che scoppia come una vescica.
Borghesi, ch’è più il fumo che l’arrosto,
signori ambiziosi e senza testa,
o gente a cui ripugna stare a posto,
quante sono le rane come questa!