Laos, per i cristiani è vietato pregare in casa


Le autorità distrettuali di Phin, nella provincia di Savannakhet del sud-est asiatico, mettono a dura prova la vita delle comunità cristiane locali. Una recente ordinanza amministrativa vieta, infatti, qualsiasi forma di preghiera svolta nelle proprie abitazioni, e per di più si devono abbattere o rimuovere le croci che sono appese alle pareti esterne delle case dei cristiani.

Lo scorso 11 maggio – informa l’Agenzia Fides – il capo civile del distretto, il capo della polizia locale e il capo dell’Ufficio affari religiosi hanno convocato in questura due leader della Chiesa cristiana locale, il Pastore Bounlerd e il Pastore Adang, trattenendoli per ore in un interrogatorio tutto incentrato sui divieti imposti ai cristiani locali. Iniziative, queste, che restringono drasticamente la libertà religiosa delle comunità cristiane presenti nel territorio asiatico di Savannakhet, già colpite otto mesi fa nel distretto di Saybuli, nella medesima provincia, con la chiusura di alcune storiche chiese.

Durante l’interrogatorio, le autorità hanno contestato ai due Pastori l’uso di alcune abitazioni come “chiese domestiche”; cioè come luoghi di culto dove i fedeli si riuniscono, leggono la Bibbia, pregano. Secondo le autorità, tali attività non sono autorizzate. I due Pastori hanno risposto che i fedeli si ritrovano in casa poiché non ci sono chiese nelle vicinanze.

Per quanto riguarda l’ordine tassativo di rimuovere le croci presenti sulle pareti delle case dei cristiani, Bounlerd e Adang hanno detto che, come gli altri credenti espongono i loro simboli, così fanno i cristiani.

Il motivo principale che porta le autorità distrettuali di Phin a limitare la “libertà” religiosa delle comunità cristiane è dovuto al fatto che la diffusione del messaggio cristiano in Laos conduce un numero elevato di persone alla fede cristiana. I due Pastori hanno spiegato che sono i laotiani a chiedere, liberamente, di conoscere Cristo.

Si ripete così quanto già accaduto in passato nella tradizione cristiana. Nel 305 d.C., infatti, durante la grande persecuzione di Diocleziano (ricordata come una delle più feroci), in Abitinia (una cittadina dell’odierna Tunisia) un gruppo di cristiani viene scoperto a celebrare l’Eucaristia domenicale. Arrestati e inviati a Cartagine per essere processati dal  proconsole Anulino i cristiani dovettero difendersi dall’accusa di essersi riuniti illecitamente. Durante l’interrogatorio (tratto dagli atti del martirio), Saturnino (il sacerdote che aveva presieduto l’Eucaristia) rispose così alle accuse: “Noi dobbiamo celebrare il giorno del Signore: è la nostra legge”. Venne anche interrogato il proprietario della casa, Emerito: “Ci sono state riunioni proibite a casa tua?”, e fu risposto: “Abbiamo celebrato il giorno del Signore”. “Perché hai permesso loro di entrare?”, incalzò il proconsole; “Sono fratelli e io non potevo impedirlo” rispose Emerito. “Avresti dovuto farlo”, replicò il proconsole, ed Emerito: “Non potevo farlo, perché noi non possiamo vivere senza celebrare la cena del Signore”. “Non sai tu – aggiunse un altro tra i cristiani arrestati, rivolgendosi al proconsole – che il cristiano esiste per l’Eucaristia e l’Eucaristia esiste per il cristiano?”.

“Sine dominico vivere non possumus” fu dunque la risposta di quei coraggiosi cristiani, considerati i primi martiri dell’Eucaristia. “Senza tutto ciò che appartiene al Signore non possiamo vivere”. Una testimonianza di fede davvero grande che interroga le coscienze di tutti.

Il diritto fondamentale alla libertà di religione e di culto è sancito nella stessa Costituzione laotiana. Nonostante tutto la presenza di pochi cristiani (anche se trattasi di una minoranza), la semplice preghiera recitata nelle proprie abitazioni, il loro radunarsi per celebrare i riti e l’accoglienza verso gli altri sono considerati un rischio… una presenza scomoda che bisogna estirpare, come sta accadendo in diverse parti del mondo!

(Articolo pubblicato su Vatican Insider)

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