Il dramma dell’Europa e il ruolo della donna


Nel corso dell’Angelus, dettato a Castel Gandolfo per la solennità dell’Assunta, Papa Francesco ha rivolto alla Chiesa l’esplicito invito ad approfondire i temi riguardanti la vocazione e la dignità della donna. “Meditando il mistero biblico della donna, – precisa il Pontefice – condensato in Maria, tutte le donne vi trovino se stesse e la pienezza della loro vocazione, e in tutta la Chiesa si approfondisca e si capisca di più il tanto grande e importante ruolo della donna”.
A tal proposito – oltre alla Lettera Apostolica “Mulieris dignitatem”, del beato Papa Giovanni Paolo II, ricordata da Papa Francesco in occasione del 25° anniversario dalla pubblicazione – vi è un altro documento che mette a tema l’importante ruolo della donna, rilanciandone e moltiplicandone la responsabilità ecclesiale a livello europeo.

Nel 2003 Giovanni Paolo II, infatti, pubblicava l’Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa. Il testo metteva in evidenza con estrema chiarezza il processo di trasformazione  verso cui l’Europa si stava dirigendo e la profonda crisi di valori che – nonostante il potere economico e politico raggiunto in diversi Stati – iniziava a minacciare la stabilità dei suoi cittadini. Il tempo che stiamo vivendo – affermava il Pontefice – appare come una stagione di smarrimento; “Tanti uomini e donne sembrano disorientati, incerti, senza speranza e non pochi cristiani condividono questi stati d’animo. Numerosi sono i segnali preoccupanti che, all’inizio del terzo millennio, agitano l’orizzonte del Continente europeo” (Ecclesia in Europa, 7).

La preoccupazione principale messa a tema da Giovanni Paolo II – ripresa anche dal suo successore Benedetto XVI – riguardava oltretutto “lo smarrimento della memoria e dell’eredità cristiane, accompagnato da una sorta di agnosticismo pratico e di indifferentismo religioso, per cui molti europei danno l’impressione di vivere senza retroterra spirituale e come degli eredi che hanno dilapidato il patrimonio loro consegnato dalla storia. Non meravigliano più di tanto, perciò, i tentativi di dare un volto all’Europa escludendone la eredità religiosa e, in particolare, la profonda anima cristiana, fondando i diritti dei popoli che la compongono senza innestarli nel tronco irrorato dalla linfa vitale del cristianesimo” (Ibid.) .

Karol Wojtyla ricordava però che il principale contributo relativo alla crescita della cultura europea era stato offerto dal cristianesimo, che nel corso dei secoli aveva dato forma all’Europa imprimendovi alcuni valori fondamentali e aveva saputo integrare tra loro popoli e culture diverse.
In Europa dunque, per non lasciarsi travolgere dal sistema modernista del non senso, che a poco a poco avrebbe fatto prevalere un’antropologia senza Dio e senza Cristo, bisognava avere il coraggio di rintracciare la propria identità. L’Europa, infatti, asseriva Giovanni Paolo II, “pur essendosi venuta a costituire come una realtà fortemente variegata, deve costruire un modello nuovo di unità nella diversità […]. Per dare nuovo slancio alla propria storia, essa deve «riconoscere e ricuperare con fedeltà creativa quei valori fondamentali, alla cui acquisizione il cristianesimo ha dato un contributo determinante, riassumibili nell’affermazione della dignità trascendente della persona umana, del valore della ragione, della libertà, della democrazia, dello Stato di diritto e della distinzione tra politica e religione»” (Ibid., 109).

Nel panorama culturale appena delineato, Giovanni Paolo II, volle così affidare alle donne un compito importante. Egli, a nome di tutta la Chiesa, ne riconosceva il valore, ricordando – attraverso le vicende storiche dalla comunità cristiana – come le donne abbiano sempre avuto un posto di rilievo nella testimonianza del Vangelo. “Va ricordato – precisava – quanto esse hanno fatto, spesso nel silenzio e nel nascondimento, nell’accogliere e nel trasmettere il dono di Dio, sia attraverso la maternità fisica e spirituale, l’opera educativa, la catechesi, la realizzazione di grandi opere di carità, sia attraverso la vita di preghiera e di contemplazione, le esperienze mistiche e la redazione di scritti ricchi di sapienza evangelica” (Ibid., 42).
Karol Wojtyla riconosceva alle donne la singolare capacità di favorire la crescita della speranza in tutti gli ambiti della vita sociale, sottolineando la capacità che le donne hanno di accogliere, condividere e generare nell’amore, con tenacia e gratuità; e in risposta ai paradossi e alle incongruenze del mondo moderno, il Pontefice – guardando al ruolo e all’intelligenza della donna – affermava: “Si pensi, ad esempio, alla diffusa mentalità scientifico-tecnica che pone in ombra la dimensione affettiva e la funzione dei sentimenti, alla carenza di gratuità, al timore diffuso di dare la vita a nuove creature, alla difficoltà a porsi in reciprocità con l’altro e ad accogliere chi è diverso da sé. È in questo contesto che la Chiesa s’attende dalle donne l’apporto vivificante di una nuova ondata di speranza” (Ibid).

Perché tutto questo possa realizzarsi veramente è necessario – ricordava Wojtyla – promuovere nella Chiesa la dignità della donna, valorizzare la missione della donna come sposa e madre e la sua dedizione alla vita familiare. Il Pontefice, inoltre, poneva in rilievo l’esigenza di applicare realmente le leggi a tutela della donna, mettendo “in atto misure efficaci contro l’uso umiliante di immagini femminili nella propaganda commerciale e contro il flagello della prostituzione”, auspicando che il servizio reso dalla madre, allo stesso modo di quello reso dal padre, nella vita domestica “sia considerato come contributo al bene comune, anche mediante forme di riconoscimento economico” (Ibid).

E’ di questi giorni un interessante intervento di Ina Siviglia, docente della Facoltà teologica di Sicilia “San Giovanni Evangelista”, che ai microfoni del Sir ha dichiarato: “Ci siamo bloccati sul discorso del sacerdozio alle donne, che non è l’aspetto principale né quello su cui si può lavorare. Proprio in questo periodo Papa Bergoglio ha spiegato che il discorso del ministero ordinato alle donne è già stato risolto e chiuso da Giovanni Paolo II. Quindi, non possiamo tornare su questa linea, ma dobbiamo sviluppare un altro polmone di vita ecclesiale: una maggiore responsabilità delle donne negli ambiti decisionali”. C’è, per la teologa, “ancora un maschilismo sotterraneo. Per questo, c’è da rivedere come la laicità esiga una valorizzazione a pari merito tra uomini e donne. Certo, nella Chiesa dal Concilio a oggi molta strada è stata fatta, ma ancora c’è molto da fare per la valorizzazione dei carismi delle donne o, come diceva Giovanni Paolo II, del genio femminile”.

Scritto per Vatican Insider

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