Papa Francesco “visita” la prigione africana di Maco



Un carcere

La vita è vita, anche se è la prigione a raccontarla! È questo l’intreccio cinematografico portante che – ormai da diversi anni – Janusz Mrozowski, produttore e regista cinematografico franco-polacco scrive per i suoi film, per narrare le difficoltà quotidiane, la solitudine e le speranze vissute dietro le sbarre di un carcere. L’ultima delle sue produzioni, «Benvenuto in carcere, Papa Francesco», racconta le prigioni di Ouagadougou, in Burkina Faso, e il dramma di chi è costretto ad abitarle.

«Quando sono entrato in questa prigione – spiega il regista a Radio Vaticana – mi hanno colpito le condizioni in cui vivono i prigionieri africani. Il Burkina Faso mi ha aperto le sue carceri in un modo incredibile, che non si può immaginare in molti Paesi. Quello che salva in queste condizioni inumane è proprio l’umanità, le relazioni tra le guardie e i prigionieri e anche le relazioni tra i prigionieri tra di loro perché c’è molta fraternità».

Il documentario realizzato dal regista polacco Janusz Mrozowski e stato presentato in questi giorni in «Filmoteca Vaticana». Nel film, i detenuti e il personale della prigione africana di «Maco» immaginano di essere visitati da papa Francesco, perché possano raccontargli qualcosa della loro vita. «Papa Francesco – afferma uno dei detenuti – ti mostrerò dal fondo della mia cella, come vivo qui».

C’è chi sottolinea le condizioni di estremo degrado vissute dentro la prigione, chi ha perduto tutto nella vita e mostra l’amarezza per non essere riuscito a fare di meglio, ma c’è anche chi riesce a vedere altro: quella vissuta in prigione – si dice nel film – «è una vita dura ma, grazie alla nostra fede e grazie al buon Dio, non ci lamentiamo»; e un altro detenuto dichiara: «La pena non cambia l’uomo, la sola persona che cambia il cuore dell’uomo è Gesù Cristo».

Janusz Mrozowski immagina papa Francesco accanto a sé, come l’autorevole aiuto regista di questa sua recente avventura cinematografica. «Quello che ho visto – afferma Mrozowski – è che la Parola del Papa che ho portato in questa prigione ha pesato, è stata una cosa importantissima per questi detenuti. Ho portato la speranza, ho portato l’amore umano del Papa, ho portato Dio in questa prigione» (Radio Vaticana). «Qui è solo il mio corpo a essere imprigionato – dicono al Papa i detenuti – ma il mio spirito non è in prigione!». «Che Dio ti guidi. Papa Francesco». Significativo poi un breve «rap» dedicato al Pontefice, dove i giovani detenuti cantano: «Tu vuoi che noi veniamo celebrati e amati, noi ladri, banditi, noi meno di niente. Noi non meritiamo tutto questo. Noi non meritiamo niente, papa Francesco».

Le immagini riprese da Mrozowski raccontano – senza alcun filtro romantico e demagogico – il dramma umano della reclusione e la speranza custodita nel cuore di tanti detenuti. Non dimentichiamolo – diceva papa Francesco nel videomessaggio inviato al Complesso penitenziario federale di Ezeiza, in Argentina – «la pena, per essere feconda, deve avere un orizzonte di speranza, altrimenti resta rinchiusa in se stessa ed è soltanto uno strumento di tortura, non è feconda».

Il film verrà proiettato nel carcere romano di Rebibbia, il 6 novembre prossimo, ricordando il Giubileo della Misericordia per i carcerati che venne celebrato proprio il 6 novembre del 2016.

Scritto per Vatican Insider

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