Oltre la morte di Dio. La fede alla prova del dubbio


«Come per il criceto, sembra che spesso la cosa più importante sia avere il sufficiente per soddisfare i vari bisogni primari», ponendo meno attenzione alle domande principali che riguardano l’uomo e la sua fede, e decidendo di non guardare più oltre, tenendo lo sguardo basso e defilato, giusto per evitare la rischiosa ipotesi di dover rispondere agli innumerevoli interrogativi sul fatto che Dio possa esistere o meno. «Probabilmente la perdita dell’umanità dell’uomo comincia proprio dalla perdita della capacità di domandarsi e di abbozzare risposte agli interrogativi scottanti dell’esistenza. E forse è questo uno degli scenari più regressivi della società del progresso». Sono queste le premesse imbastite da Robert Cheaib – apprezzato docente di Teologia presso quattro prestigiose pontificie facoltà teologiche di Roma – nelle prime pagine della sua recente pubblicazione, «Oltre la morte di Dio. La fede alla prova del dubbio», pubblicato da Edizioni San Paolo. Un libro che incoraggia il lettore ad interrogare la fede e ad interrogarsi sulla fede. Cheaib risponde ad alcune domande di Vatican Insider.

Nel suo libro afferma che «la creazione è atea». In che senso?

«Prima di spiegare il senso dell’affermazione ne spiego il perché. Tante persone se la prendono con Dio per una ruota che si buca o per la terra che trema; per un esame non superato o per un amico che volge loro le spalle. Ma a ben pensare, non possiamo imputare a Dio la responsabilità delle scelte degli umani e neppure il corso degli eventi naturali. La creazione ha una sua autonomia voluta e custodita da Dio. Non siamo burattini che Dio muove e ferma a convenienza. L’affermazione “la creazione è atea” potrebbe suonare forte e scandalosa. In realtà è una delle prime affermazioni della fede giudeo-cristiana. La creazione è appunto creazione, una creatura e non il Creatore. La creazione è ciò che non è Dio. Il primo capitolo del libro della Genesi ci pone davanti a un principio rivoluzionario e ignoto per la filosofia ellenistica: il principio della creazione. Per di più, il testo biblico presenta la creazione con il gesto autorevole della parola. Dio, per così dire, crea pronunciando la creazione, crea tramite la parola. Giovanni e Paolo chiariranno che Dio crea tramite la Parola-Cristo. Giovanni, in particolare, mostra come la creazione abbia addirittura la possibilità di chiudersi al suo Dio: “Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1,10-11). Questo non implica che la creazione sfugga a Dio. Nel libro, infatti, controbilancio quest’affermazione con un capitolo dal titolo “La sorpresa di Dio” che riflette sulla presenza e sull’intervento di Dio nella storia. Nei suoi piani misteriosi, il Signore non solo si fa presente nella storia, Dio è il Pantokrator, Colui che tiene la storia e l’universo in mano. Ma con questo non schiaccia la creazione, ma la sostiene e la porta con la sua Provvidenza – fattasi anche carne – al suo compimento».

Tra i pericoli più grandi che minacciano la sfera emotiva dell’uomo, lei parla di «anoressia dei desideri». Che significa?  

«Ripeto spesso quest’affermazione: “Chi si perde nelle proprie passioni è meno perduto di chi perde la propria passione”. Non è un manifesto per il lassismo morale. Tutt’altro! È un’espressione provocatoria per invitare a cogliere nei nostri desideri il richiamo e il Desiderio di Dio. Concordo con vari pensatori – psicologi, filosofi e teologi – secondo cui il pericolo più grande che minaccia la sfera emotiva dell’uomo contemporaneo non è la repressione, la non soddisfazione dei bisogni, ma l’anoressia dei desideri. Il vero pericolo è l’estinzione, l’eclissi, lo spegnimento o il tramonto del desiderio. I fenomeni generati da questa denutrizione sono un’anemia spirituale di senso, un burnout globale, un’esasperante accidia e noia esistenziale, una nevrosi di senso, definita da Viktor Frankl come nevrosi noogena. La società dei consumi ci riduce ai nostri bisogni, la nostra umanizzazione, invece, richiede che ci eleviamo alla dignità dei nostri desideri che ci spalancano il pellegrinaggio verso il nostro Desiderio assoluto».

Lei afferma nel suo libro che «non si possono seminare risposte dove non c’è il terreno accogliente degli interrogativi». Può essere rischioso per la vita dei nostri giovani?  

«Questa convinzione l’ho maturata durante i diversi anni di lavoro universitario con i giovani. L’esperienza mi ha insegnato che la proposta di fede, anche quella più bella e affascinante, non raggiunge l’interlocutore se non lo si aiuta a scoprire le proprie domande. Per questo, il primo gesto di evangelizzazione è l’ascolto, prima ancora della Parola. Chi ascolta annuncia eloquentemente una presenza amante che rispecchia la presenza dell’Amore di Dio. Non è stato forse questo lo stile di Gesù con la Samaritana, per dare uno dei diversi esempi? A questa donna chiusa nei suoi cliché e nel suo vivacchiare, Gesù riporta non acqua, ma la freschezza di riporsi le vere domande, di rimettersi in gioco e di cogliere nella sua passionale umanità, la passione per l’Acqua viva, il richiamo di Dio».

Dov’è Dio nel dolore? E in che senso possiamo parlare di un dolore in Dio?  

«La mia risposta potrebbe sembrare retorica, ma non lo è affatto: Dio è nel dolore. L’ho sperimentato nelle mie esperienze – personali e famigliari – di dolore. L’ho visto nell’esperienza di chi ha incontrato Dio nel dolore e ha attraversato il dolore pregustando la risurrezione. La mia risposta, però, sarebbe incompiuta se non evocasse la responsabilità umana dinanzi al dolore. È una responsabilità che l’uomo assume e che lo rende collaboratore di Dio in una creazione e in una storia ferita. Parlavamo di una creazione atea all’inizio, qui la dialettica trova una provocazione che si esprime nella vocazione dell’uomo: l’uomo è l’occasione di ingresso di Dio nella storia. Dov’è Dio nel dolore? È in chi consola il dolore, in chi si fa strumento della pace e del bene di Dio, come ha intuito Francesco d’Assisi. Nel libro manifesto come l’uomo nella storia sacra abbia “aiutato Dio”. Questa memoria provoca noi oggi ad aiutare Dio, a cogliere e accogliere l’intuizione profetica di Etty Hillesum: “Siamo noi a dover aiutare Te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L`unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di Te in noi stessi, mio Dio”».

Robert Cheaib, «Oltre la morte di Dio. La fede alla prova del dubbio», Edizioni San Paolo 2017, pp. 132.

Scritto per Vatican Insider

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