Monache buddiste in bici contro il traffico degli esseri umani


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AsiaNews

Tuta, zainetto, casco protettivo e scarpe da ginnastica adeguate, per affrontare una pedalata lunga 4mila chilometri sulla catena Himalayana tra Nepal e India. Ci hanno creduto subito le 500 monache buddiste, e non hanno esitato a riporre nell’armadio l’abito monastico per inforcare la bicicletta e protestare contro il traffico di esseri umani. «Mentre lo scorso anno prestavamo soccorso alle popolazioni terremotate del Nepal – spiega su AsiaNews la monaca ventiduenne Jigme Konchok Lhamo –, abbiamo saputo di numerose ragazze povere vendute dai loro stessi genitori perché non sapevano più come mandare avanti la famiglia. Vogliamo fare qualcosa per cambiare la mentalità che considera la donna inferiore all’uomo. Questa escursione in montagna dimostra che le donne hanno la stessa potenza e forza degli uomini».

Si tratta di un numeroso gruppo di monache appartenente all’ordine Drukpa (uno dei maggiori del buddismo tibetano), e diventate – in seguito alla riforma del Gyalwang Drukpa (il 12mo capo dell’ordine, Jigme Pema Wangchen) – sensibilmente progressiste. Per difendersi, infatti, dai maltrattamenti dei monaci maschi, le suore, con la riforma dell’attuale Gyalwang Drukpa, hanno imparato la pratica delle arti marziali. Questa singolare iniziativa, e il compito loro affidato di alcuni incarichi importanti, hanno fatto lievitare, nel tempo, il numero delle monache da 30 a 500!

Le monache “Kung Fu nuns” (così chiamate perché abili nelle arti marziali), difendono e “lottano” contro lo sfruttamento delle donne, vendute come schiave del sesso, e il traffico degli esseri umani. Durante la pedalata Himalayana (la quarta per l’esattezza) le monache tibetane – oltre ad aver distribuito cibo ai poveri e cure mediche agli abitanti dei villaggi – hanno incontrato le autorità politiche e religiose del luogo, per sostenere pacificamente il rispetto e la dignità della persona umana.

Dopo il terremoto in Nepal del 2015 (che ha provocato circa 9mila vittime e lasciato 40mila bambini senza genitori), lo sfruttamento delle donne e dei bambini è drammaticamente cresciuto: molte donne costrette a prostituirsi perché il terremoto le ha gettate nella povertà, e centinaia di bambini rimasti orfani e scomparsi dai centri di accoglienza (talvolta gestisti da sedicenti santoni). Da qui, l’iniziativa delle monache “Kung Fu nuns”, di cominciare a “pedalare” verso nuovi orizzonti; «Le persone – dichiara ancora la monaca Jigme Konchok Lhamo – pensano che dobbiamo stare rinchiuse nel tempio e pregare tutto il tempo, dato che siamo monache. Ma la preghiera non basta. Il Gyalwang Drukpa ci insegna che dobbiamo uscire e mettere in pratica le parole con cui preghiamo. In fin dei conti, le azioni parlano più forte delle parole» (AsiaNews).

Scritto per Korazym.org

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