«Il nostro grande dolore è l’esodo!»


Patriarca_Laham«È importante lavorare sul posto, essere vicini al popolo, ma anche alzare la voce per dire al mondo intero: basta, mai più guerra!», e quel posto – stando alla recenti notizie di cronaca – si chiama Siria, oriente cristiano, Patriarcato di Antiochia dei melchiti che estende la sua giurisdizione su tutti i fedeli cattolici greco-melchiti ovunque essi abitino.

Tra le voci autorevoli, alzate in segno di pace, vi è quella del patriarca cattolico siriano, Gregorio III Laham – secondo la tradizione antica «Patriarca di Antiochia, di tutto l’Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme dei Melchiti» – che in un’intervista pubblicata su Aleteia, descrive i passi più importanti della sua attività pastorale vissuta nel territorio siriano, i ricordi di una infanzia disagevole e tuttavia ancorata ai principi della fede cristiana. Oggi, Gregorio III Laham, insieme ad altri esponenti gerarchici di diverse confessioni cristiane, è ancora «al suo posto», preoccupato per gli eventi bellicosi che feriscono il suo popolo, ma vicino alla sua gente. «Non manco un’occasione – dice – per visitare le famiglie, le parrocchie, soprattutto quando sento che c’è una vittima. Faccio visita a tutte le case anche di non cattolici, per dare la mia vicinanza, aiutare, consolare».

I giovani si spostano in massa, lasciano la loro patria e si dirigono verso nuovi lidi, facendo «perdere – dichiara il patriarca Laham – alla società siriana come tale e cristiana più in particolare gli agenti più importanti per l’avvenire». Vi è preoccupazione anche per il futuro dei più piccoli; sono state distrutte 20mila scuole e «quei bambini – riferisce a malincuore Laham – saranno l’Isis di domani. L’Isis non è fuori, è già dentro le case. Se non finisce la guerra questi bambini che sono senza scuola sono l’Isis dell’avvenire».

Nella storia di vita personale, il Patriarca cattolico siriano – perdendo il padre all’età di 4 anni – ricorda di essere cresciuto come orfano, insieme alla mamma e al nonno fino ai 10 anni e poi in un orfanotrofio libanese. Un’esperienza questa che lo porterà, nel 1966, a fondare l’orfanotrofio «Casa della Divina Provvidenza», una scuola tecnica per cinquecento studenti e un centro giovanile. Ripensa alla propria vocazione sacerdotale e ai canti liturgici che la madre, insieme a un’altra parente, eseguiva quando lui era giovane e che i seminaristi di oggi – precisa il Patriarca – non sanno più cantare. «Si cantavano fuori dalla chiesa, nell’ambito della famiglia: si mettevano assieme due donne, non a chiacchierare ma a pregare, a cantare».

Nelle parole del Patriarca cattolico siriano, non è l’elemento nostalgico a prevalere, quanto, piuttosto, la triste costatazione di una grave perdita di valori familiari, quelli che molto spesso ti aiutavano a diventare un «buon cristiano». «Si andava alla chiesa – ricorda – mia mamma e mio babbo ognuno con un figlio per mano. I genitori ci portavano in chiesa, non come adesso che dicono “andate” o vanno senza figli. È importante questo legame tra i genitori e i figli nel contesto della preghiera»; poi un altro ricordo carico di tenerezza e di fede: «Ero ospite di una famiglia a Darayya. Al mattino alle 6,55 eravamo sulla terrazza e il bambino piccolo prendeva il latte dalla mamma. A un certo punto suona la campana e lui lascia la madre e fa un segno di croce. Non aveva neanche due anni. Questo oggi manca. Da noi si dice “beve la fede col latte della mamma”. Se la mamma vive una vita spirituale, il bimbo piccolo cresce così. Dobbiamo far capire oggi alle mamme quel contatto spirituale con i bimbi».

Gregorio III Laham, nonostante il dramma della guerra e l’esodo forzato della gran parte della popolazione siriana, vive e testimonia l’aspetto materno della Chiesa che ancora oggi è possibile offrire. «Io non sono sposato, sono un monaco – dice – sento che sono padre, madre, fratello, sorella, zio, nonno. Sento che sono divenuto per la famiglia il centro della loro vita. È straordinario. Mai abbiamo sentito come la Chiesa è vicina al popolo come in questi quattro anni e mezzo di guerra in Siria. Quando cammino per la città mi fermano: padre, è successo questo, devo andare all’ospedale, ho bisogno di medicine, mio figlio… una vicinanza straordinaria tra la Chiesa e il popolo. Questo è molto positivo e il nostro dovere primario per rimanere vicini al nostro popolo. Il nostro grande dolore – conclude – è l’esodo!».

Scritto per Vatican Insider

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