Un modo nuovo di fare il Papa


papa_roncalli«Niente più topazio sugli anelli che il Papa donerà ai nuovi cardinali, ma una semplice fascia d’oro con inciso lo stemma papale», ricorda Benny Lai – grande giornalista e decano dei vaticanisti scomparso nel 2013 – ne “Il «mio» Vaticano. Diario tra pontefici e cardinali” (Rubbettino, 2006). Il Papa – racconta Lai – «si è rifiutato di mangiare in solitudine, ha condiviso il pranzo con i cardinali nell’appartamento Borgia, ha rifiutato il posto d’onore e si è seduto nella poltroncina che aveva occupato nei due giorni precedenti l’elezione». Segni di umiltà che dal 1963 fino ai nostri giorni sottolineano un cambiamento epocale nella figura gerarchica del Romano Pontefice; persino la “tiara” – il prezioso copricapo formato da tre corone simboleggianti il triplice potere del Papa: padre dei re, rettore del mondo, Vicario di Cristo – cadde in disuso per volontà di Paolo VI.

Il Papa, a poco a poco, superava gli ostacoli del rigido cerimoniale per entrare in contatto con la gente. «La distanza è breve, mi piacerebbe andare a piedi» – disse Giovanni XXIII ai suoi collaboratori, rifiutando la macchina per andare dalla Chiesa di Sant’Ignazio al Collegio Capranica (a Roma). «L’etichetta non ammette obiezioni e nessuno ha avuto il tempo di farne, – racconta Benny Lai – già il Papa aveva imboccato via del Seminario seguito dai prelati. Con il grande mantello rosso sopra la veste candida, camminava al centro della strada tra lo stupore e l’entusiasmo dei passanti, dei bottegai, di quanti abitano la strada». L’entusiasmo è alle stelle e tutti, giovani e adulti, corrono verso il Papa per salutarlo, «il popolo se ne infischia di avere un pontefice tanto dotto o ascetico o intelligente quanto distante, ama Giovanni XXIII proprio per le sue doti semplici e umane. Un lembo di speranza, ho visto, e un fanatico desiderio di accoglierlo, di sfiorarlo».

Ormai era fatta, e il mite pontefice di “transizione”, come veniva considerato Papa Roncalli, cominciò a spalancare le finestre del Vaticano per incamerare ventate di aria nuova. Due mesi dopo la sua elezione, Giovanni XXIII va a visitare gli ammalati dell’Ospedale Santo Spirito e del Bambino Gesù, si reca nel carcere romano di Regina Coeli, incontra i sacerdoti esprimendo il desiderio di voler visitare le parrocchie di Roma; il 4 ottobre del 1962 il Papa usciva per la prima volta dai confini del Lazio, e in treno (altra novità) si recava a Loreto e ad Assisi. Papa Roncalli, così, con i suoi gesti e le parole, carichi di semplicità, restituiva alla Chiesa l’immagine ecclesiale e regale del Papa “pastore”, servo dei servi, così come l’aveva pensata e voluta Gesù di Nazareth.

Ad Albino Luciani, il pontefice che prese il nome di Giovanni Paolo I, bastarono trentatre giorni di pontificato – vissuti in totale umiltà e semplicità – per far conoscere al mondo, ricorda Benny Lai, “un modo nuovo di fare il Papa”. Nel corso del suo primo Angelus da pontefice, Luciani disse: «Io non ho né la sapientia cordis di Papa Giovanni, né la preparazione e la cultura di Papa Paolo, però sono al loro posto, devo cercare di servire la Chiesa. Spero che mi aiuterete con le vostre preghiere». Luciani sostituì la solenne cerimonia dell’incoronazione riservata ai pontefici con una semplice e dignitosa celebrazione, chiamata oggi di “inizio pontificato”. Quattro giorni dopo la sua elezione – tralasciando il testo scritto (dove ancora per poco veniva utilizzato il “plurale maiestatis”) – Papa Luciani si rivolgeva ai cardinali utilizzando la prima persona personale: «Sono un novizio in Vaticano – diceva – non so niente degli ingranaggi di questa specie di orologeria. La prima cosa che ho fatto è di sfogliare l’Annuario Pontificio per vedere il “Chi è” di ogni persona e come funziona la macchina» (G. Zizola, “I Papi del XX e XXI secolo”). Poi chiede ai cardinali di aiutare «questo povero Cristo, il vicario di Cristo, a portare la Croce. Credo di avere estremo bisogno anche dei vescovi che sono fuori Roma».

E sarà proprio un vescovo “venuto da fuori Roma”, Karol Wojtyla, a proseguire su questa strada e a non cambiare il nuovo modo di fare il pontefice. Giovanni Paolo II abbatte i principali ostacoli al rinnovamento della Chiesa, esce fuori dalle mura vaticane, è il Papa che gira il mondo e dialoga con tutti; elimina la sedia gestatoria (il trono mobile portato a spalla durante le celebrazioni del Papa), il plurale maiestatis e tutte le barriere del protocollo che facevano del papa l’uomo più isolato della Terra! E’ un pontefice difficile da fermare (anche con un attentato!), e la gente vede in Wojtyla i segni di una Chiesa vigorosa e giovane.

Anche Papa Benedetto XVI offrirà il suo contributo, eliminando dallo stemma pontificio il simbolo della tiara e dispensando dal baciamano. Ratzinger diventa testimone, inoltre, di un nuovo gesto di umiltà e responsabilità nei confronti di tutta la Chiesa. Con la rinuncia al ministero petrino – per motivi già contemplati nel Codice di diritto canonico – Benedetto XVI, infatti, inaugura un modo nuovo di essere papa e di guardare al bene della Chiesa.

Nella persona di Jorge Mario Bergoglio, il Papa compie un ulteriore passo in avanti, e sulla scia dei suoi predecessori realizza pienamente il modo nuovo di governare la Chiesa. Francesco supera i rimanenti ostacoli e le regole del protocollo, è imprevedibile; non ci pensa due volte a telefonare di persona a chi chiede una parola di conforto, preferisce le utilitarie alle macchine di rappresentanza, abita gli appartamenti della Casa Santa Marta, e se potesse limitare l’inevitabile ressa che si verrebbe a creare… certamente – come si evince dall’intervista concessa al quotidiano argentino “La Voz del Pueblo” – andrebbe a mangiare una “pizza” fuori!

Scritto per Vatican Insider

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