Si può “chiudere un occhio”, o tutti e due, per svariati motivi. Talvolta si fa persino finta di non aver visto, per mantenere una certa discrezione o per non compromettere gli equilibri tra le persone, evitando allo sguardo di esprimere un giudizio. A tal proposito, e a proposito della Sindone, lo scrittore francese, Dominique Lapierre, scriveva: «Se ha gli occhi chiusi, è per vederci meglio. È anche perché noi lo possiamo guardare meglio. Forse non oseremmo, se avesse gli occhi aperti. Perché i nostri occhi non sono occhi puri, e neanche i nostri cuori, e noi siamo in gran parte responsabili delle sue sofferenze. Se soffre, è a causa mia, tua, a causa di noi tutti. A causa dei nostri peccati, del male che facciamo. Ma lui ci ama talmente che ci perdona. Vuole che lo guardiamo. Ecco perché chiude gli occhi. E i suoi occhi chiusi mi invitano a chiudere anche i miei, a pregare, a guardare Dio dentro di me e anche dentro di te. E ad amarlo. E a fare come lui, a perdonare tutti, e ad amare tutti. Ad amare soprattutto quelli che soffrono come lui. Ad amare te che soffri come lui» (La città della gioia).
Oggi inizia l’ostensione della Sindone – esposta a Torino nella Cattedrale di San Giovanni Battista fino al 24 giugno –, il misterioso lenzuolo su cui è rimasta impressa l’immagine di un uomo (per la Chiesa si tratta di Gesù il Cristo) con i segni della passione e della crocifissione. Durante questo periodo proveremo, di tanto in tanto, ad offrire qualche spunto per la riflessione, in questa temporanea rubrica sulla Sindone.