Guerra in medioriente nella “Terra di Dio”!


guerra_palQuasi tutte le guerre prima o poi finiscono, o – meglio – dovrebbero finire! Le munizioni si esauriscono, il numero dei soldati si riduce, l’odore del sangue versato da tanti innocenti diventa insopportabile, mentre il terrore stampato negli occhi di colui che hai appena ucciso – come la più grande delle minacce per la vita dei tuoi figli – lo ricorderai per tutta la vita. Quando una guerra finisce, tutti (forse!) hanno imparato qualcosa…in tutti è rimasto qualcosa, mentre altri, invece, hanno perso tutto. Ogni cultura possiede persino uno spazio (un monumento, un sacrario…) dedicato alla memoria di chi è morto a causa della guerra, per ricordare che ogni violenza genera solo odio e disprezzo per l’uomo, per la sua storia, per la sua terra.

L’ostilità mediorientale tra Palestina e Israele sembra diventata, ormai, la madre di tutte le guerre; essa, nonostante abbia raggiunto il triste primato dell’interminabilità, non deve però costringerci all’umana rassegnazione. “La miseria che c’è qui è veramente terribile. Eppure alla sera tardi, quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, e allora dal mio cuore s’innalza sempre una voce – non ci posso far niente, è così, è di una forza elementare –, e questa voce dice: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo”. Questo scriveva Etty Hillesum, studiosa olandese e giovane donna ebrea morta ad Auschwitz il 30 novembre 1943. “A ogni nuovo crimine o orrore – scriveva ancora la Hillesum – dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere. E se sopravviveremo intatti a questo tempo, corpo e anima ma soprattutto anima, senza amarezza, senza odio, allora avremo anche il diritto di dire la nostra parola a guerra finita”.

Guerre, esilii, diaspore e mille altre ostilità scorrono nel sangue dell’antico e del nuovo Israele, in quella terra di Canaan che Dio stesso consegnò ad Abramo, Isacco, Giacobbe e alla loro discendenza, per stabilire un’alleanza eterna. Nel testo biblico di Ezechiele, inoltre, Dio dice al suo Popolo: “«Abiterete nella terra che io diedi ai vostri padri; voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio. […] Quella terra desolata, che agli occhi di ogni viandante appariva un deserto, sarà ricoltivata e si dirà: La terra, che era desolata, è diventata ora come il giardino dell’Eden, le città rovinate, desolate e sconvolte, ora sono fortificate e abitate. I popoli che saranno rimasti attorno a voi sapranno che io, il Signore, ho ricostruito ciò che era distrutto e ricoltivato la terra che era un deserto. Io, il Signore, l’ho detto e lo farò». […] «Allora le città rovinate saran ripiene di greggi di uomini e sapranno che io sono il Signore»” (cfr. Ez, 36, 28-38).

Questo – a nostro avviso – è forse il problema principale: gli uomini sono sufficientemente consapevoli che Dio è il Signore e il legittimo proprietario di quella terra?

Il tema della “terra”, infatti, nella storia sacra, riguarda un intimissimo rapporto tra Dio e il suo Popolo. Per la giovane santa Teresa di Lisieux, per esempio, la “patria” era il volto di Cristo; “Quando penso Patria – scriveva, invece, san Giovanni Paolo II – esprimo me stesso, affondo le mie radici, è voce del cuore, frontiera segreta che da me si dirama verso gli altri, per abbracciare tutti, fino al passato più antico di ognuno: da questo emergo…quando penso “Patria” – quasi celando dietro di me un tesoro. Mi chiedo come accrescerlo, come dilatare lo spazio che esso riempie”. Ancora Etty Hillesum, nel periodo della detenzione ad Auschwitz scriveva: “Io sono quotidianamente in Polonia, su quelli che si possono ben chiamare dei campi di battaglia, talvolta mi opprime una visione di questi campi diventati verdi di veleno; sono accanto agli affamati, ai maltrattati e ai moribondi, ogni giorno – ma sono anche vicina al gelsomino e a quel pezzo di cielo dietro la mia finestra, in una vita c’è posto per tutto. Per una fede in Dio e per una misera fine”.

Scritto per Korazym.org

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