Giorgio La Pira, un politico d’altri tempi


«Ho attraversato varie volte i sotterranei del pensiero: ho bussato a molte porte, come un povero mendicante, per avere pane di sapere, ho rifatto mille strade, mille mondi, ho amato mille cose: sono stato troppo vagabondo in questo errare senza posa alla ricerca di un po’ di pace per l’anima mia: io ho sempre avuto in me sete di ascesi, sete di profondo annullamento del mio essere che si ricollega a Dio». Se queste parole non fossero state scritte da Giorgio La Pira (1904-1977) stenteremmo a crederle appartenenti ad un politico!

Siciliano di origine (nasce a Pozzallo, in provincia di Ragusa, il 9 gennaio del 1904), La Pira ricoprì prestigiose cariche istituzionali (Sottosegretario al Ministero del Lavoro, Sindaco di Firenze per tre volte, membro della Camera dei Deputati). A sei anni dalla morte gli vennero riconosciute le virtù eroiche e la fama di santità che portarono l’Arcivescovo di Firenze, Silvano Piovanelli, a presentare, nel 1983, la richiesta per introdurre la causa di beatificazione.

Non era strano incontrarlo per le strade di Firenze con le tasche dell’impermeabile piene di fogliettini che la povera gente gli consegnava per chiedergli di essere aiutata. A chi gli obiettava che non era giusto utilizzare i fondi del Comune per fare la carità, La Pira rispondeva: “Non è carità. E’ giustizia!”. Ancor prima di ricoprire le cariche dello Stato utilizzava il suo stipendio di docente universitario per alleviare le difficoltà economiche di qualche povero sventurato e una volta, a chi lo aveva fermato per chiedere un aiuto, rispose: «E tu il 29 del mese vieni? Dovevi venire il 27 (giorno in cui si ritirava la paga). Ormai ho dato via tutto!». Tanti sono gli episodi che raccontano l’onestà e il senso dello Stato vissuti dall’illustre Sindaco di Firenze, sempre ancorato agli ideali di fede cristiana. Durante una delle sue visite istituzionali in Russia sentendo il rammarico del suo segretario nel vedere le poche chiese deserte, frequentate solo da alcune vecchiette con una candelina in mano, rispose: «Tu dovresti dedicarti alla teologia delle vecchine. Vedi, se queste vecchine non tenessero accesa la fiammella della fede in Cristo, dove troverebbero le nuove generazioni russe il fuoco per accendere l’incendio cristiano che inevitabilmente verrà?».

Per comprendere – anche dal punto di vista internazionale – la caratura di questo straordinario politico italiano, basterà rileggere ciò che il 29 giugno 1955 il quotidiano francese “Le monde” scrisse di lui: «Giorgio La Pira: chi non conosce oggi questo piccolo uomo vivace e dolce, questo “cristiano da choc”, che si è lanciato nella vita pubblica senza nulla concedere alla potenza del denaro, né perdere nulla del suo temperamento d’asceta? Il fatto è tanto raro che sembra un miracolo. Totalmente povero, una camera d’ospedale per casa, votato al celibato, La Pira attraversa gli onori senza vederli. Coltiva due grandi amori: l’amore per gli operai e per gli Ordini contemplativi con i quali intrattiene rapporti costanti».

Terminata la seconda guerra mondiale, La Pira – insieme a Moro e Togliatti, e ad altri nomi illustri – fu nominato membro della commissione che avrebbe dovuto formulare i principi fondamentali della Costituzione Italiana. La Pira si preparò a questo particolare momento storico per L’Italia con grandissima e scrupolosa serietà che lo portò a studiare per mesi quasi tutte le Costituzioni presenti nel mondo. Il lavoro svolto da Giorgio La Pira, in quella particolare circostanza, si rivelò fondamentale per i tantissimi aspetti e le novità che avrebbero cambiato il corso della storia italiana, e anche per la stipula dei rapporti tra Stato e Chiesa. «Solo su un punto – racconta P. Antonio Maria Sicari in una biografia di La Pira – si ritrovò isolato, quando, in sede di votazione, propose di sua spontanea iniziativa che l’intestazione della Costituzione italiana si aprisse “nel nome di Dio”. Reagirono per primi, preoccupatissimi, i suoi stessi amici: “Vuoi far mettere ai voti Dio, col rischio di far emergere che in questa Assemblea Dio è in minoranza?”. Allora col pianto nel cuore, La Pira si alzò a spiegare il suo intento: “Cercavo una convergenza, non una divergenza”, disse. Poi ritirò l’emendamento. Finì il suo intervento appassionato mentre tutti restavano in assoluto silenzio, concludendo con un lento, largo segno di Croce. E tutta l’Assemblea, silenziosamente, si alzò in piedi in segno di rispetto».

Per Papa Giovanni Paolo II, Giorgio La Pira era una figura esemplare di laico cristiano, “Fedele al Magistero della Chiesa, ebbe il senso della laicità autentica e della giusta autonomia dei fedeli nell’ambito delle realtà secolari. Intese la funzione pubblica come servizio al bene comune, sottratto ai condizionamenti del potere ed alla ricerca del prestigio o dell’interesse personale”.

Ci chiediamo, con struggente rammarico: che cosa sarebbe oggi la politica italiana e l’Italia stessa se l’esempio di questo “santo politico” avesse fatto scuola?

Scritto per Vatican Insider

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *