Il 5 luglio si chiude la fase diocesana della beatificazione del cardinale Van Thuan


Tra qualche giorno si concluderà l’inchiesta diocesana sulla vita, le virtù eroiche e la fama di santità del cardinale François-Xavier Nguyen Van Thuan, l’Arcivescovo vietnamita che trascorse tredici anni del suo episcopato in prigione, di cui nove in isolamento, morto il 16 settembre del 2002. Venerdì 5 luglio dopo una solenne celebrazione eucaristica nella Basilica di Sant’Antonio di Padova a Roma, all’Auditorium Antonianum verrà presentata la traduzione italiana delle sei Lettere pastorali del cardinale Van Thuan, scritte tra il 1968 e il 1973, pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana. Una testimonianza fortissima per tutti i cristiani, ma anche un personaggio storico per il Vietnam, “perché – dichiara il postulatore dell’inchiesta diocesana, dr. Waldery Hilgeman, ai microfoni di Radio Vaticana – è un vescovo che è diventato martire della speranza. Lui è stato incarcerato e durante questo periodo di incarcerazione non ha mai perso la speranza nella Chiesa, non ha mai rinnegato la Chiesa. E questo è un simbolo per quel popolo che ancora oggi lì non si trova a vivere in uno stato di libertà religiosa come dovrebbe essere”.

Nonostante la prigionia, cristianamente portata come il carico della croce di Cristo, il cardinale Van Thuan non ha mai conservato rancore e odio contro i suoi carcerieri. “Le guardie che lo tenevano sotto controllo, in prigione, – prosegue Waldery Hilgeman – dicevano: «Ma tu un giorno, se sarai liberato, ci farai perseguitare?» E lui: «No, assolutamente». «Ci farai uccidere?» E lui: «Certo che no, io vi amo». «Come? Tu ci ami?» «Sì, certo. Io vi amo». E questo è il messaggio che il cardinale ha trasmesso a quelli che erano i suoi «nemici». Ovviamente una volta liberato, questa sua spiritualità, di Gesù abbandonato sulla croce, è diventata il simbolo della sua opera”.

Papa Benedetto XVI (che ricordò la testimonianza dell’Arcivescovo vietnamita nella “Spe salvi”, la sua seconda Enciclica) – in occasione del quinto anniversario della morte – disse: “Il Cardinale Van Thuan era un uomo di speranza, viveva di speranza e la diffondeva tra tutti coloro che incontrava. Fu grazie a quest’energia spirituale che resistette a tutte le difficoltà fisiche e morali. La speranza lo sostenne come Vescovo isolato per 13 anni dalla sua comunità diocesana; la speranza lo aiutò a intravedere nell’assurdità degli eventi capitatigli […] un disegno provvidenziale di Dio”. Rimangono memorabili e straordinariamente commoventi le ventidue meditazioni sulla speranza del mondo di oggi che il card. Van Thuan mise per iscritto, accogliendo l’invito di Giovanni Paolo II di predicare gli esercizi spirituali della Curia Romana nell’anno 2000. “Quando sono stato arrestato, – racconta il vescovo vietnamita – ho dovuto andarmene subito, a mani vuote. L’indomani, mi è stato permesso di scrivere ai miei per chiedere le cose più necessarie: vestiti, dentifricio… Ho scritto: «Per favore, mandatemi un po’ di vino, come medicina contro il mal di stomaco». I fedeli subito hanno capito. Mi hanno mandato una piccola bottiglia di vino per la Messa, con l’etichetta «medicina contro il mal di stomaco», e delle ostie nascoste in una fiaccola contro l’umidità. […] Non potrò mai esprimere la mia grande gioia: ogni giorno, con tre gocce di vino e una goccia d’acqua nel palmo della mano, ho celebrato la Messa. Era questo il mio altare ed era questa la mia cattedrale! […] Ogni volta avevo l’opportunità di stendere le mani e di inchiodarmi sulla croce con Gesù, di bere con lui il calice più amaro. […] Erano le più belle Messe della mia vita”.

F. Xavier van Thuan, ricorda anche di essere stato aiutato dai suoi carcerieri a costruire una piccola croce di legno e una catenella, intrecciata con fili elettrici, per poter comporre la croce pettorale da vescovo. Commosso e riconoscente per la disponibilità prestata dagli amici carcerieri (molti dei quali si convertirono al cristianesimo), van Thuan terminata la prigionia dirà: “Questa croce e questa catenella le porto con me ogni giorno, non perché siano ricordi della prigione, ma perché indicano una mia convinzione profonda, un costante richiamo per me: solo l’amore cristiano può cambiare i cuori, non le armi, le minacce, i media. E’ l’amore che prepara le vie all’annuncio del Vangelo. Omnia vincit amor – Tutto vince l’amore!”. La fede e l’indiscutibile amore per Cristo non impedirono al card. Van Thuan di vivere pienamente – anche in prigione – il suo servizio episcopale con straordinarie conseguenze, così come egli stesso raccontò: “Quando sono stato messo in isolamento, fui affidato a cinque guardie: a turno, due di loro erano sempre con me. I capi avevano detto loro: «Vi sostituiremo ogni due settimane con un altro gruppo, perché non siate ‘contaminati’ da questo pericoloso vescovo». In seguito hanno deciso: «Non vi cambieremo più; altrimenti questo vescovo contaminerà tutti i poliziotti». […] Una notte mi è venuto un pensiero: «Francesco, tu sei ancora molto ricco, hai l’amore di Cristo nel tuo cuore; amali come Gesù ti ha amato». L’indomani ho cominciato a voler loro ancora più bene, ad amare Gesù in loro, sorridendo, scambiando con loro parole gentili. Ho cominciato a raccontare storie sui miei viaggi all’estero […]. Questo ha stimolato la loro curiosità e li ha spinti a pormi moltissime domande. Pian piano siamo diventati amici. […] Le mie guardie sono diventate miei scolari!”.

Scritto per Korazym.org

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