Il nome di San Giuseppe nel cuore della celebrazione eucaristica 2


s_giuseppe“Capo della Famiglia del Signore, modello esemplare di umiltà, giusto, custode, sostegno del corpo mistico che è la Chiesa”. Sono alcune delle espressioni aggettivali che la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha utilizzato in un recente decreto, per disporre che anche nelle Preghiere eucaristiche II, III e IV del Messale Romano, dopo la Beata Vergine Maria, si faccia menzione del nome di San Giuseppe, suo Sposo. Una scelta che – come si evince dal testo del decreto – aveva già trovato accoglienza e approvazione in Papa Benedetto XVI, e che adesso viene confermata da Papa Francesco con un documento ufficiale. Ma per cercare di comprendere l’importanza di questa aggiunta liturgico-celebrativa nel Messale Romano è necessario spiegare brevemente il contesto in cui verrà d’ora in poi ricordata la figura di San Giuseppe.

Il momento centrale e culminante della celebrazione della Santa Messa ha inizio con una particolare orazione chiamata “Preghiera eucaristica”, che riassume gli elementi di preghiera, di azione di grazie e santificazione. Si tratta di un significativo dialogo tra il sacerdote e il popolo di Dio, perché innalzi il cuore verso il Signore nella preghiera e nell’azione di grazie, e il sacerdote lo associ a sé nella solenne preghiera, che a nome di tutta la comunità egli rivolge a Dio. “Il significato di questa Preghiera – precisa l’Ordinamento Generale del Messale Romano – è che tutta l’assemblea dei fedeli si unisca insieme con Cristo nel magnificare le grandi opere di Dio e nell’offrire il sacrificio”.

La Preghiera eucaristica consta delle seguenti parti: “L’azione di grazie” (espressa nel prefazio), dove il sacerdote, a nome di tutti i fedeli, glorifica Dio Padre e gli rende grazie per tutta l’opera della salvezza; “L’acclamazione” (tutta l’assemblea canta il Santo); “L’epiclesi”: invocazione dello Spirito Santo perché i doni offerti dagli uomini siano consacrati e diventino il Corpo e il Sangue di Cristo; “Il racconto dell’istituzione e la consacrazione”: mediante le parole e i gesti di Cristo, si rinnova il memoriale del Suo sacrificio; “L’anamnesi”: la parte del canone della messa che, immediatamente dopo la consacrazione, ricorda la passione, risurrezione e ascensione di Cristo; “L’offerta”: la Chiesa offre al Padre nello Spirito Santo la vittima immacolata; “Le intercessioni”: con esse si esprime che l’Eucaristia viene celebrata in comunione con tutta la Chiesa, sia celeste che terrena, e che l’offerta è fatta per essa e per tutti i suoi membri, vivi e defunti; “La dossologia finale”: con la quale si glorifica Dio, ratificata e conclusa con l’acclamazione dell’Amen.

La menzione a San Giuseppe verrà inserita nel testo delle “Intercessioni”, il penultimo momento contenuto nella Preghiera eucaristica dove vengono ricordati la Chiesa, il Papa, il Vescovo, tutto l’ordine sacerdotale, e tutti i defunti; immediatamente dopo il sacerdote (come d’esempio nella Preghiera eucaristica II) dice: “Di noi tutti abbi misericordia: donaci di aver parte alla vita eterna, insieme con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con san Giuseppe, suo sposo, con gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi…”. Nella Preghiera eucaristica III si dirà : “con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con san Giuseppe, suo sposo, con i tuoi santi apostoli…”; Nella Preghiera eucaristica IV: “con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con san Giuseppe, suo sposo, con gli apostoli…». Non cambierà nulla, invece, nella Preghiera eucaristica dell’antichissimo “Canone Romano”, dove la menzione a san Giuseppe è presente già dal Concilio Ecumenico Vaticano II per esplicito volere del beato Giovanni XXIII Papa, che volle porre sotto il patrocinio del grande Patriarca la riuscita dell’assise conciliare.

Il testo del decreto – che porta la data del 1° maggio 2013, memoria di san Giuseppe lavoratore – riprende alcune espressioni dell’esortazione apostolica “Redemptoris custos” di Giovanni Paolo II. In esso viene sottolineato l’importante ruolo che San Giuseppe ebbe nella dinamica della salvezza, per la quale fu chiamato da Dio – spiega l’Osservatore Romano – “a esercitare la sua paternità a servizio della persona e della missione di Cristo con generosa umiltà e adorno di quelle virtù comuni, umane e semplici, che fungono da modello tipico per coloro che si mettono alla sequela di Cristo”.

Chi in questi giorni chiedeva a Papa Francesco un esplicita presa di posizione circa il problema delle unioni omosessuali – forzatamente rivestite di simbolismo matrimoniale, come incauta alternativa alla famiglia – trova nel decreto una evidente e chiara risposta. Gesù viene affidato ad una coppia di sposi, uomo e donna, che insieme formano la Sacra Famiglia. Così Papa Francesco – si legge nel blog cantualeantonianum.com – “sceglie la preghiera, anzi il vertice della preghiera, per mostrare la sacra Famiglia come modello: Maria, Giuseppe e Gesù, mamma, papà e figlio”.

Non può sfuggire alla nostra attenzione un altro interessantissimo dettaglio: la particolare devozione a San Giuseppe degli ultimi quattro pontefici, in tre dei quali è addirittura riportato nel nome di battesimo! Papa Giovanni XXIII (Angelo Giuseppe Roncalli), Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła) e Benedetto XVI (Joseph Ratzinger). Il vescovo Roncalli nell’aprile del 1947 scriveva al fratello: “Io non ho mai avuto occasione di trovare S. Giuseppe sordo alle mie preghiere. La mia vita, a voler guardar bene, é un poco come la sua. Fra questi scribi e farisei – come li chiami tu – ho il compito di presentare e di difendere il Signore. Non é così?”. Karol Wojtyla, il 16 ottobre 2003, con un atto ufficiale regala al convento del suo paese natale Wadowice (dove da giovane, il Papa, si recava spesso a pregare) il suo anello papale perché possa decorare il quadro di San Giuseppe presente in quel convento. Giovanni Paolo II era molto devoto alla figura del S. Patriarca che riconosceva come secondo Patrono del suo Battesimo, pregandolo devotamente “ogni giorno”.
Alcuni anni fa Benedetto XVI per descrivere l’esperienza della preghiera cristiana utilizzò l’immagine del “silenzio interiore” richiamando la figura di San Giuseppe: «Il suo è un silenzio permeato di contemplazione del mistero di Dio, in atteggiamento di totale disponibilità ai voleri divini. In altre parole, il silenzio di san Giuseppe non manifesta un vuoto interiore, ma, al contrario, la pienezza di fede che egli porta nel cuore, e che guida ogni suo pensiero ed ogni sua azione. […] Non si esagera se si pensa che proprio dal “padre” Giuseppe Gesù abbia appreso – sul piano umano – quella robusta interiorità che è presupposto dell’autentica giustizia, la “giustizia superiore”, che Egli un giorno insegnerà ai suoi discepoli (cfr Mt 5,20)». Papa Francesco, ha voluto esprimere la sua personale devozione verso San Giuseppe inserendo nello stemma pontifico il fiore di nardo, che nella tradizione araldica e iconografica rimanda al patrono della Chiesa universale. “Per singolare coincidenza – ricorda l’Osservatore Romano –, poi, l’inizio del ministero petrino di Papa Francesco è stato celebrato proprio nel giorno della solennità di san Giuseppe”.

Scritto per Korazym.org


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