Altro che “processi irreversibili”


altA proposito della «Giornata dell’Evangelium Vitae» – il grande incontro sulla sacralità della vita che si è svolto a Roma in questi giorni – mi colpisce, e nello stesso tempo offre un’intelligente chiave di lettura, l’autorevole intervento del sociologo e filosofo italiano  Massimo Introvigne, che a proposito del valore della vita umana, ne “La nuova bussola quotidiana”, scrive:

“La cultura della morte vince non solo perché un certo numero di cattolici tradisce la verità sul terreno della morale. Vince perché milioni di cattolici, che sul piano dottrinale si dicono fedeli al Catechismo, sul piano della teologia e della visione della storia, quindi sul piano psicologico, sono stati fatti prigionieri dalla dittatura del relativismo. Il problema, su cui dobbiamo molto riflettere, è che tantissimi cattolici accettano, silenziosamente, la tesi della  presunta «irreversibilità» delle «conquiste» rivoluzionarie. Pensano che «non si possa più tornare indietro» perché certi processi sono irreversibili. Questa idea della irreversibilità ha convinto non solo teologi e vescovi progressisti ma anche tanti conservatori, tanti dirigenti cattolici e sacerdoti che non negano le verità morali del Catechismo. Si sono convinti che la storia avanzi in modo lineare, che la rivoluzione contro la castità, l’aborto, il matrimonio omosessuale, l’eutanasia – domani l’«aborto post-natale» cioè l’infanticidio, l’assassinio dopo la nascita dei bambini malati e indesiderati, la prossima frontiera della cultura della morte, della cui sinistra avanzata ha fatto stato all’Urbaniana il filosofo Francis Beckwith  – sia il risultato di processi «irreversibili». Si pensa che il treno sia partito e avanzi in modo lineare. Al massimo – com’è accaduto negli anni scorsi in Italia sul tema delle unioni omosessuali – il treno può essere fermato in stazione per un po’, ma poi inesorabilmente riprende la sua marcia”.

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