Benedetto XVI parla del Concilio e ci proietta verso il futuro


Se il vigore fisico del Papa – come da lui stesso annunciato i questi giorni – viene meno, non si può dire la stessa cosa per la sua incredibile lucidità e autorevolezza teologica. Nella conversazione dettata al Clero di Roma, infatti, in questo scorcio finale del suo ministero petrino, Benedetto XVI – parlando a braccio per quasi un’ora – ha raccontato l’evento del Concilio Vaticano II che ha segnato la storia della Chiesa e a cui egli stesso ha preso parte – allora giovane e brillante professore di teologia – in qualità di perito. Una “lectio magistralis”, quella del Papa, che ha sbalordito molti dei sacerdoti presenti, uno dei quali, ai microfoni di Radio Vaticana, ha dichiarato con molta semplicità: “Io non sono capace di parlare 45 minuti a braccio in quel modo, senza dire una parola inutile, senza mai ripetermi! Sono rimasto sbalordito dalla sua lucidità e dalla sua presenza. […] Il Papa parlandoci del passato, del Concilio, ci ha parlato veramente del futuro. Ci ha spiegato come la Chiesa vive, e in sostanza ci ha detto questo: il grande dono del Concilio, la grande forza e la sua grande novità sono ancora davanti a noi”.

Per Papa Benedetto XVI, si è trattato di una “semplice” chiacchierata, e quasi rammaricato per non aver potuto fare di meglio – all’inizio del suo discorso, come fanno a volte i “grandi”, distaccati e umili di fronte al proprio genio culturale – ha dichiarato: “Per oggi, secondo le condizioni della mia età, non ho potuto preparare un grande, vero discorso, come ci si potrebbe aspettare; ma piuttosto penso ad una piccola chiacchierata sul Concilio Vaticano II, come io l’ho visto”.
Così il Pontefice ha raccontato le emozioni e l’entusiasmo che il Concilio è stato capace di suscitare nel cuore di tanti credenti. “C’era un’aspettativa incredibile. Speravamo – riferisce Benedetto XVI – che tutto si rinnovasse, che venisse veramente una nuova Pentecoste, una nuova era della Chiesa, perché la Chiesa era ancora abbastanza robusta in quel tempo, la prassi domenicale ancora buona, le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa erano già un po’ ridotte, ma ancora sufficienti. Tuttavia, si sentiva che la Chiesa non andava avanti, si riduceva, che sembrava piuttosto una realtà del passato e non la portatrice del futuro. E in quel momento, speravamo che questa relazione si rinnovasse, cambiasse; che la Chiesa fosse di nuovo forza del domani e forza dell’oggi”.

E il Concilio fu davvero tutto questo, nonostante le perplessità iniziali e lo stupore quando Papa Giovanni XXIII – che in tanti consideravano un papa di transizione –, a tre mesi dalla sua elezione, nell’aula capitolare dell’abbazia di San Paolo, il 25 gennaio 1959, comunicò ai cardinali la sua volontà di indire un Concilio. “Umanamente – ricorderà poi il Papa Buono – si poteva ritenere che i cardinali, dopo aver ascoltata l’Allocuzione, si stringessero intorno a Noi per esprimere approvazione ed auguri. Vi fu, invece, un impressionante e devoto silenzio”.
Del resto quell’inaspettata “convocazione” – all’inizio accolta con diffidenza – avrebbe offerto ai vescovi di tutto il mondo un maggiore coinvolgimento nelle scelte pastorali e in alcune riforme che il Concilio da lì a poco avrebbe determinato. “Così, – ricorda Benedetto XVI – eravamo pieni di speranza, di entusiasmo, e anche di volontà di fare la nostra parte”; i Vescovi, infatti, non avrebbero rinunciato al ruolo nuovo indicato dal Papa, e se fino ad allora la potente Curia Romana riteneva prassi consolidata chiedere il consenso degli altri vescovi su argomentazioni già pianificate e prestabilite, adesso con il Vaticano II molte cose sarebbero cambiate. Ricorda Benedetto XVI: “I Vescovi dissero: No, non facciamo così. Noi siamo Vescovi… non vogliamo soltanto approvare quanto è stato fatto, ma vogliamo essere noi il soggetto, i portatori del Concilio… Il Papa ci ha convocati per essere come Padri, per essere Concilio ecumenico, un soggetto che rinnovi la Chiesa. Così vogliamo assumere questo nostro ruolo”.
Il volto della Chiesa stava cambiando e il Concilio consegnava ad ogni battezzato gli strumenti per renderlo ancora più splendente: intuizioni, riforme, precisazioni, indicazioni pastorali che ancora oggi possiamo rintracciare nelle quattro costituzioni principali, nelle dichiarazioni e nei decreti pubblicati durante il Vaticano II.

Tra le prime riforme Benedetto XVI ricorda la Liturgia e l’esigenza di esprimere durante la celebrazione eucaristica il dialogo tra sacerdote e popolo di Dio, attraverso una partecipazione attiva. Bisogna anche dire, con molta onestà, che se nel corso del suo pontificato Benedetto XVI ha ritenuto opportuno richiamare alcuni alla corretta osservanza delle norme liturgiche non lo ha fatto – come purtroppo è stato scritto – per riportare le lancette dell’orologio a cinquant’anni fa, ma per ricordare piuttosto che la vera novità liturgica l’ha saputa anticipare e realizzare il Concilio, e quello che alcuni oggi ritengono maggiormente più innovativo e accattivante, rispetto al Concilio è già vecchio, anche se cronologicamente più giovane!

Dal punto di vista ecclesiologico – sempre attraverso il ricordo del Papa – il Concilio aiutò i cristiani a comprendere che la Chiesa “non è un’organizzazione, qualcosa di strutturale, giuridico, istituzionale – anche questo –, ma è un organismo, una realtà vitale, che entra nella mia anima, così che io stesso, proprio con la mia anima credente, sono elemento costruttivo della Chiesa come tale”.
Poi bisognava coniare, potremmo dire, un termine nuovo che fosse capace di tradurre l’unione di tutti i vescovi, responsabili della Chiesa universale e dell’evangelizzazione del mondo. “E, per fare questo, – afferma Benedetto XVI – è stata trovata la parola «collegialità», molto discussa, con discussioni accanite, direi, anche un po’ esagerate. Ma era la parola – forse ce ne sarebbe anche un’altra, ma serviva questa – per esprimere che i Vescovi, insieme, sono la continuazione dei Dodici, del Corpo degli Apostoli”. Appariva a molti – prosegue Ratzinger – “come una lotta per il potere, e forse qualcuno anche ha pensato al suo potere, ma sostanzialmente non si trattava di potere, ma della complementarietà dei fattori e della completezza del Corpo della Chiesa con i Vescovi, successori degli Apostoli, come elementi portanti; ed ognuno di loro è elemento portante della Chiesa, insieme con questo grande Corpo”.

Anche in questa circostanza, quando Benedetto XVI parla della Chiesa o del servizio apostolico dei vescovi, ha davanti a sé l’immagine innovativa di un servizio ecclesiale ispirato dal Concilio, e per tali ragioni egli richiama l’attenzione di tutti verso l’essenziale teologico-spirituale che bisogna custodire e rilanciare anche ai giorni nostri e nonostante tutto.
L’idea di ritornare a riflettere sui temi dettati dal Concilio Vaticano II, in questo Anno della Fede, non va considerata pertanto una manovra brusca di retrocessione ma un’opportunità di ritornare a guardare il mistero della Chiesa con un rinnovato entusiasmo.

Pubblicato su Korazym.org

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