A proposito del Padre


“Chi vede me, vede il Padre”, sono le parole che riecheggiano durante l’udienza generale del Pontefice e che per l’orecchio umano rasentano un’illogica ed improponibile follia, una rappresentazione del divino che si incarna nella vita dell’uomo, in un mondo che con il passare del tempo appare sempre più limitato. Spesso diventa difficile immaginare il rapporto tra Dio e l’uomo come la relazione tra padre e figlio perché abbiamo perduto i principali modelli di riferimento; “per chi – spiega, infatti, Benedetto XVI – ha fatto esperienza di un padre troppo autoritario ed inflessibile, o indifferente e poco affettuoso, o addirittura assente, non è facile pensare con serenità a Dio come Padre e abbandonarsi a Lui con fiducia”.

Eppure Gesù, per descrivere il particolare legame con l’Onnipotente, utilizza il termine abbà, un’espressione inusuale nella letteratura palestinese. Gli ebrei, infatti, non utilizzavano mai il vocativo abbà per rivolgersi a Dio, poiché si trattava di un’espressione ritenuta troppo familiare per poterla indirizzare al creatore del cielo e della terra.
Abbà è, peraltro, un’espressione tipica del linguaggio infantile; nel Talmud (raccolta di trattati contenenti la dottrina giudaica), infatti, viene detto : “Solo quando un bimbo assaggia il sapore del grano (ossia quando è svezzato) impara a dire abbà e immà (papà e mamma)”. Dio sapeva benissimo che l’uomo avrebbe incontrato difficoltà nel riconoscerlo come padre ; ha pensato così di suggerirgli la possibilità di un esempio, di una mediazione, vissuta all’interno del proprio nucleo familiare, dove gli interpreti di questa mediazione sarebbero stati i genitori. Oggi però – lo sappiamo bene – questa mediazione ha perduto tutto il suo valore e di conseguenza, di fronte a Dio abbiamo smesso di riconoscerci “figli”.

A tal proposito risulterà interessante rileggere il giudizio di Santa Teresa di Lisieux nei confronti del proprio padre: “Quando il predicatore parlava di santa Teresa, Papà si chinava verso me, e mi diceva piano: «Ascolta bene, reginetta mia, parla della Santa tua Patrona». Ascoltavo, realmente, ma guardavo Papà più spesso del predicatore, il suo bel volto mi diceva tante cose! Qualche volta, gli occhi gli si empivano di lacrime, che egli si sforzava inutilmente di trattenere, pareva che già fosse staccato dalla terra, tanto l’anima sua sapeva immergersi nelle verità eterne. E tuttavia il suo corso di vita era ancora ben lungi dal giungere a compimento, dei lunghi anni dovevano trascorrere prima che il Cielo bello si aprisse agli occhi rapiti di lui, e che il Signore asciugasse le lacrime del suo servo buono e fedele!”.

Teresa così, insieme alle sue sorelle, nell’autorità del padre impara a riconoscere quella di Dio. E quando per il suo papà venne il momento di lasciare la nostra terra (nel luglio del 1894) Teresa dirà: “Il buon Dio ha preso con sé colui che amavo teneramente. Ciò non avvenne forse perché potessimo veramente dire: Padre nostro che sei nei cieli?”. Quella vissuta dalla giovane carmelitana di Lisieux è un’esperienza di vita – cronologicamente parlando – non lontanissima dalla nostra. Cosa è cambiato da quel lontano (?) 1894 fino ad oggi?

Pubblicato su Korazym.org

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