L'ateismo moderno gioca con le verità della nostra fede


“Il desiderio di conoscere Dio realmente, cioè di vedere il volto di Dio è insito in ogni uomo, anche negli atei”, afferma Papa Benedetto XVI durante la recente udienza generale del mercoledì. Una considerazione per nulla scontata oggi. Un tempo, infatti, si definiva ateo colui che – pur sforzandosi di conosce e comprendere la dottrina del Nazareno – prendeva le distanze dal cattolicesimo scegliendo di vivere senza Dio (àtheos). I pensatori, gli scienziati, i letterati – tra gli atei più illustri studiati a scuola – erano capaci di motivare la scelta del proprio ateismo in seguito ad una attenta ricerca scientifica e antropologica del pensiero umano (il limite principale del non credere), verificando l’esistenza o la non esistenza di Dio. Oggi, invece, le nuove forme di ateismo – culturalmente impoverite e storicamente infondate – si basano spesso su criteri esclusivamente irrazionali rispetto al passato, abbracciando l’effimero concetto del luogo comune come prova non evidente della non esistenza di Dio.

Se in passato le riflessioni su Dio si accendevano nei salotti culturali, oggi vengono proposte maldestramente durante una pausa pranzo, magari catturando il titolo di qualche giornale (per qualcuno ancora più sacro e credibile della Bibbia!).
L’ateismo moderno, così, si nutre delle incongruenze del “sentito dire”, cresce attorno a noi, nelle nostre case, nell’ambito del nostro lavoro, nella scuola. Non può non essere considerato un segno dei tempi il fatto che un alunno intervenga durante l’Ora di Religione (è accaduto al sottoscritto) per accusare il Papa di aver tolto il bue e l’asinello dal Presepio perché i Vangeli non ne parlano, distorcendo così una riflessione esegetica presentata da Benedetto XVI nel recente libro “L’infanzia di Gesù”! E così – con tutto il rispetto per le opinioni altrui – gli elementi essenziali delle verità di fede vengono adombrati dal gossip della “cultura” moderna, soffocando il desiderio inconsapevole – come ha ricordato il Pontefice – di vedere semplicemente chi è Dio, che cosa è, chi è per noi.

San Tommaso d’Aquino diceva che “il fine della fede è la visione di Dio”, sottolineando un importante aspetto programmatico della dottrina cristiana. “La conoscenza della fede – prosegue nella sua analisi l’Aquinate – non pacifica il desiderio, ma lo accende ancora di più, dal momento che tutti desiderano vedere quello che credono” (Summa contra Gentiles, III, 40). Bisogna dunque riaccendere il desiderio di Dio, ma per far questo è necessario conoscere le verità della fede. E’ importante – chiarisce Papa Benedetto XVI – seguire Cristo “non solo nel momento nel quale abbiamo bisogno e quando troviamo uno spazio nelle nostre occupazioni quotidiane, ma con la nostra vita in quanto tale. L’intera esistenza nostra deve essere orientata all’incontro con Gesù Cristo all’amore verso di Lui […]. Ciò è possibile solo se il vero volto di Gesù ci è diventato familiare nell’ascolto della sua Parola, nel parlare interiormente, nell’entrare in questa Parola così che realmente lo incontriamo, e naturalmente nel Mistero dell’Eucaristia”.

Pubblicato su Korazym.org

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