Il limite della nostra libertà non è Dio


Si può “non aver capito nulla” del cristianesimo se Dio viene considerato un limite della nostra libertà, “un limite da eliminare affinché l’uomo possa essere totalmente se stesso”. Ma non è così! – afferma Papa Benedetto XVI parlando ai genitori e ai padrini dei ventidue bambini battezzati in questi giorni – “Non è facile – chiarisce il Pontefice – manifestare apertamente e senza compromessi ciò in cui si crede, specie nel contesto in cui viviamo, di fronte ad una società che considera spesso fuori moda e fuori tempo coloro che vivono della fede in Gesù. Sull’onda di questa mentalità, vi può essere anche tra i cristiani il rischio di intendere il rapporto con Gesù come limitante, come qualcosa che mortifica la propria realizzazione personale”.

Il limite della nostra libertà non ha nulla a che vedere con Dio; Cristo stesso rappresenta, infatti, il massimo della libertà, il “sì”, la conformità con la volontà di Dio, l’apertura verso ciò che è illimitato per sua divina natura. Solo nel “sì” – affermava Benedetto XVI in un’altra occasione – l’uomo diventa realmente se stesso; solo nella grande apertura del “sì”, nella unificazione della sua volontà con quella divina, l’uomo diventa immensamente aperto, diventa “divino”.

Oggi il vero problema è quello di dover infrangere il muro della nostra caparbietà che ci fa razionalmente dire di “No” anche quando – per essere veramente liberi – bisognerebbe dire di “Sì”! Un sì pronunciato con verità e determinazione porterebbe, infatti, il nostro egoismo in uno stato irreversibile di depressione, non sarebbe più capace di riconoscere in se stesso l’illusione di poter far tutto da solo. Metterebbe a soqquadro tutte le nostre certezze, annullando ogni sorta di autosufficienza umana. Ci troveremmo, improvvisamente, catapultati in un’altra dimensione: quella della Grazia! Quella stessa Grazia offerta a tutti nel giorno del proprio Battesimo, senza alcun merito!

Cristo esercita in ogni cristiano un’azione libera e liberante dell’amore di Dio “che – ricorda il Papa – ci fa uscire dal nostro egoismo, dall’essere ripiegati su noi stessi, per condurci ad una vita piena, in comunione con Dio e aperta agli altri”.

Per un genitore o un catechista, un parroco o un responsabile di gruppo queste parole sono fondamentali. Esse sono, per così dire, l’aspetto programmatico e l’ambito metodologico dell’annuncio evangelico. Potremmo considerarle quasi un linguaggio universale, comune a tutte le chiese del mondo. Quando non si è più capaci di parlare la stessa lingua si ripete l’inesorabile dramma della “Torre di Babele”. Non ci si comprende più!

“Il cammino della fede – conclude il Pontefice – che oggi comincia per questi bambini si fonda perciò su una certezza, sull’esperienza che non vi è niente di più grande che conoscere Cristo e comunicare agli altri l’amicizia con Lui; solo in questa amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana e possiamo sperimentare ciò che è bello e ciò che libera. Chi ha fatto questa esperienza non è disposto a rinunciare alla propria fede per nulla al mondo”.

Pubblicato su Korazym.org

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