Kenya, terrorismo politico e non guerra di religione 2


È di un morto e dieci feriti il bilancio, ancora provvisorio, dell’attentato che ha avuto per obiettivo ieri la celebrazione domenicale della comunità cristiana interconfessionale Utawala, a Garissa, nel Kenya orientale, a 140 km dal confine con la Somalia. La vittima è il cappellano della polizia che presiedeva la celebrazione. «È stata colpita una sala della locale stazione di polizia dove si stava celebrando un servizio religioso della comunità Utawala alla quale partecipavano alcuni detenuti del complesso», dice all’agenzia vaticana Fides monsignor Joseph Alessandro, vescovo coadiutore di Garissa.

«L’obiettivo sembra quindi fosse la polizia. Mi sembra di poter dire che si tratti più di un’azione politica che di un assalto motivato da questioni religiose», sottolinea mons. Alessandro. Si sospetta che a commettere il crimine siano gli estremisti somali Shabaab, che hanno già compiuto attentati simili come ritorsione per l’intervento delle truppe keniane in Somalia.

Proprio l’esercito keniano ha avuto un ruolo decisivo nel cacciare gli Shabaab da Chisimaio, la loro roccaforte nella Somalia meridionale. Nonostante la minaccia di attentati, secondo monsignor  Alessandro «in generale a Garissa c’è sicurezza, anche se ci sono occasionali attacchi terroristici». «In questi casi però non si mai dove e quando i terroristi colpiranno», conclude il vescovo coadiutore di Garissa.

Gli artifici di questi feroci attentati sono riconducibili – secondo le analisi degli inquirenti – alle milizie somale di Al-Shabaab un gruppo insurrezionale islamista attivo in Somalia. “Le milizie Shebaab – dichiara Enrico Casale, esperto di Africa di “Popoli”, la rivista internazionale dei Gesuiti, ai microfoni di Radio Vaticana – sono integraliste, professano un islam fondamentalista, che vede nel cristiano un nemico: ma non solo nel cristiano, anche nel musulmano non integralista. Gli Shebaab somali, infatti, hanno distrutto le tombe di grandi personalità religiose somale, che erano venerate dai musulmani della Somalia. E’ quindi un islam intollerante, che cerca di imporre una visione della fede che non guarda a nessun tipo di dialogo, ma all’affermazione completa, anche sul filo delle baionette, quindi sulla violenza jihadista”.

Secondo Magdi Allam – giornalista e scrittore egiziano convertitosi al Cristianesimo – la differenza tra islamico integralista e tollerante non esiste. “Stiamo assistendo in modo pavidamente e irresponsabilmente inaccettabile – afferma Allam – alla persecuzione e all’esodo massiccio di centinaia di migliaia di cristiani che sono i veri autoctoni della regione. (…) Si tratta della prova più eloquente della tragedia umana e dell’imbarbarimento civile in cui è precipitato il mondo arabo-musulmano, in preda al fanatismo ideologico degli estremisti islamici e all’intolleranza religiosa delle dittature al potere”.

Durante la recente visita apostolica del Papa in Libano – mentre in Nord-Africa e in Medio Oriente si continuava a combattere – Benedetto XVI affermava: “Non dimentichiamo che la libertà religiosa è il diritto fondamentale da cui molti altri dipendono. Professare e vivere liberamente la propria religione senza mettere in pericolo la propria vita e la propria libertà deve essere possibile a chiunque. La perdita o l’indebolimento di questa libertà priva la persona del sacro diritto ad una vita integra sul piano spirituale. La sedicente tolleranza non elimina le discriminazioni, talvolta invece le rinforza”.

E’ questa “sedicente tolleranza” che ci preoccupa di più, soprattutto in un Occidente sempre più relativizzato e spaccato nel suo interno, sempre pronto ad autocensurarsi agli occhi di chi non vuol saperne nulla di libertà religiosa.

Pubblicato su Vatican Insider


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