Quando Wojtyla invitava a riscoprire il rosario


Anche la Lettera apostolica, Rosarium Virginis Mariae, – tra gli eventi e gli anniversari ricordati all’inizio del mese di ottobre, in occasione dell’Anno della Fede – compie il suo decimo anno. Giovanni Paolo II, infatti, il 16 ottobre 2002, ne pubblicava il testo invitando la comunità cristiana a riscoprire la ricchezza della preghiera del Rosario, spiegandone i contenuti teologici e i valori spirituali, rilanciandola con l’aggiunta di cinque nuovi misteri (i Misteri della luce) e proclamando l’Anno del Rosario. “Il Rosario – affermava Wojtyla – se riscoperto nel suo pieno significato, porta al cuore stesso della vita cristiana ed offre un’ordinaria quanto feconda opportunità spirituale e pedagogica per la contemplazione personale”.

L’origine e la diffusione del Rosario si possono fare risalire nel periodo storico che va dal XII al XVI secolo. E’ agli inizi del XII secolo, infatti, che la preghiera dell’Ave Maria (già conosciuta dalle prime comunità cristiane ancor prima del secolo XII) viene litanicamente recitata per 150 volte, soprattutto nei monasteri, in alternativa al salterio biblico, per favorire l’orazione dei monaci illetterati. Con il passare del tempo alla recita delle 150 Ave Maria si aggiunse la meditazione di alcuni misteri evangelici, così nel XV secolo il salterio mariano prenderà il nome di Rosario della Beata Vergine Maria. Nel 1569 sarà Pio V (definito il primo papa del rosario) a sottolinearne l’importanza e a suggerirne la recita secondo lo schema in uso ai giorni nostri.

Giovanni Paolo II – indiscutibilmente legato alla devozione mariana – strutturò il testo della Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae sottolineandone la peculiarità contemplativa. “Il motivo più importante per riproporre con forza la pratica del Rosario – scriveva Wojtyla – è il fatto che esso costituisce un mezzo validissimo per favorire tra i fedeli quell’impegno di contemplazione del mistero cristiano”.
Con la pubblicazione di questo documento, il Pontefice “restituiva” ai “laici” il compito della contemplazione, considerata in passato appannaggio esclusivo della vita monastica; una logica, questa, che Wojtyla mise in discussione già un anno prima nella Novo millennio ineunte, a chiusura del Grande Giubileo del 2000: “Le nostre comunità cristiane devono diventare autentiche «scuole» di preghiera, dove l’incontro con Cristo non si esprima soltanto in implorazione di aiuto, ma anche in rendimento di grazie, lode, adorazione, contemplazione, ascolto, ardore di affetti, fino ad un vero «invaghimento» del cuore. […] Certo alla preghiera sono in particolare chiamati quei fedeli che hanno avuto il dono della vocazione ad una vita di speciale consacrazione […]. Ma ci si sbaglierebbe a pensare che i comuni cristiani si possano accontentare di una preghiera superficiale, incapace di riempire la loro vita. Specie di fronte alle numerose prove che il mondo d’oggi pone alla fede, essi sarebbero non solo cristiani mediocri, ma «cristiani a rischio»”.

Anche Papa Benedetto XVI, all’inizio dell’Anno della Fede, ha indicato la recita del Rosario come fondamentale per la crescita spirituale del cristiano: “Vorrei proporre a tutti – ha dichiarato il Pontefice – di valorizzare la preghiera del Rosario nel prossimo Anno della fede. Con il Rosario, infatti, ci lasciamo guidare da Maria, modello di fede, nella meditazione dei misteri di Cristo, e giorno dopo giorno siamo aiutati ad assimilare il Vangelo, così che dia forma a tutta la nostra vita. […] Invito a pregare il Rosario personalmente, in famiglia e in comunità, ponendoci alla scuola di Maria, che ci conduce a Cristo, centro vivo della nostra fede”.

Pubblicato su Vatican Insider

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