Due grandi Pontefici in dialogo con il Libano


papiIn un arco di tempo che abbraccia 15 anni di storia recente (dal 1997 fino ad a oggi) due, tra i più grandi Papi del nostro secolo, realizzano un viaggio apostolico in Libano – “Paese che fa parte dei Luoghi santi che Dio ama, perché è venuto a porvi la sua dimora” diceva il beato Giovanni Paolo II, “Regione del mondo che sembra conoscere i dolori di un parto senza fine… Che ha visto nascere grandi religioni e nobili culture” dice oggi Benedetto XVI. Due anche le esortazioni apostoliche post-sinodali che i pontefici hanno firmato in questa terra per tanto tempo martoriata dalla guerra: “Una speranza nuova per il Libano” (Giovanni Paolo II) ed “Ecclesia in Medio Oriente” (Benedetto XVI), e due grandi momenti d’incontro con l’entusiasmo dei giovani libanesi.

Nel maggio del 1997 Karol Wojtyla, nella Basilica di Nostra Signora del Libano ad Harissa, invitava i giovani a non innalzare nuovi muri nella già tormentata terra libanese, “al contrario – diceva – è vostro compito costruire dei ponti tra le persone, tra le famiglie e tra le diverse comunità. Nella vita quotidiana, per porre gesti di riconciliazione, per passare dalla diffidenza alla fiducia!”. Nel grande Santuario di Harissa, l’eco delle parole che il Pontefice rivolgeva ai giovani ridestava nel cuore dei presenti sentimenti di coraggiosa speranza e di fede: “Il futuro siete voi… Cristo ha fiducia in voi… Voi siete la ricchezza del Libano”.
Giovanni Paolo II riteneva il Libano un’eredità colma di promesse, per questo chiamava i giovani a lavorare per costruire un futuro migliore, che ponesse a fondamento di tutto l’unità e il rispetto delle diversità culturali e religiose: “Oggi, io vi scelgo come testimoni privilegiati e come depositari del messaggio di rinnovamento di cui la Chiesa ed il vostro Paese hanno bisogno”. Ne era profondamente convinto il Pontefice polacco e non esitò ad annunciarlo ai suoi giovani interlocutori in quella storica visita nella terra dei Cedri – seconda dopo quella di Papa Paolo VI nel 1964 (anche se solo per un breve scalo a Beirut): “per la costruzione del Libano l’arma principale e determinante è quella dell’amore”. Nell’Esortazione apostolica post-sinodale, Una speranza nuova per il Libano, Karol Wojtyla rivolgendosi ai giovani raccomandava infine: “Nella coscienza della nazione libanese e in seno alla Chiesa in Libano, i giovani devono avere un posto importante ed essere una forza di rinnovamento nazionale ed ecclesiale, con la partecipazione nelle varie strutture della vita sociale e nelle istanze decisionali. Occorre aiutarli a vincere le tentazioni dell’estremismo o del lassismo che possono essere in agguato, come pure a rifiutare le diverse forme di vita che sono opposte ad una sana moralità”. Giovanni Paolo II ricordava nel documento l’importante considerazione che la Chiesa rivolgeva ai giovani, ritenendoli capaci di imprimere un nuovo slancio alla vita ecclesiale e sociale; per questo motivo il Papa invitò le comunità cristiane ad integrarli maggiormente in tutte le loro attività, perché potessero diventare “soggetti della «nuova evangelizzazione», seminatori della Parola tra gli altri giovani, offrendo il loro peculiare dinamismo finalizzato al rinnovamento ecclesiale”.

Papa Benedetto XVI, oggi, raccoglie probabilmente i segni dei tempi e sceglie di recarsi in Libano, nonostante le recenti tensioni mediorientali, per pubblicare un documento programmatico di importanza fondamentale per la vita e la missione della Chiesa cattolica nell’area del Medio Oriente. “So – dichiara, infatti, il Papa durante il volo verso il Libano – che se la situazione si fa più complicata, è più necessario offrire questo segno di fraternità, di incoraggiamento e di solidarietà. E’ il significato del mio viaggio: invitare al dialogo, invitare alla pace contro la violenza, procedere insieme per trovare la soluzione dei problemi”.
Nel piazzale antistante il Patriarcato Maronita, a Bkerké – una piccola città del Libano situata a circa 650m di altitudine sopra la baia di Jounieh – Papa Benedetto XVI incontra i giovani per esortarli a non fermarsi di fronte alle difficoltà della vita, per diventare sempre più protagonisti del proprio futuro e occupare un ruolo personale nella società e nella Chiesa, nonostante il mondo – in continuo fermento – li metta spesso a confronto con numerose e gravi sfide.

Nei numeri 62-65 dell’Esortazione post-sinodale Ecclesia in Medio Oriente, il Papa teologo riserva una particolare attenzione alla realtà del mondo giovanile: “Penso ai giovani – chiarisce Benedetto XVI – in cerca di un senso umano e cristiano durevole per la loro vita, senza dimenticare coloro per i quali la giovinezza coincide con un allontanamento progressivo dalla Chiesa, traducendosi in abbandono della pratica religiosa”. Oltre all’invito ai sacramenti e alla preghiera il Vicario di Cristo esorta le nuove generazioni a non vergognarsi di testimoniare l’amicizia di Cristo nella sfera familiare e pubblica, e soprattutto rispettando gli altri credenti, ebrei e musulmani, con i quali condividono la credenza in Dio Creatore del cielo e della terra, e anche dei grandi ideali umani e spirituali. “La relazione con Gesù vi renderà disponibili a collaborare senza riserve con i vostri concittadini, qualunque sia la loro appartenenza religiosa, per edificare il futuro dei vostri paesi sulla dignità umana, fonte e fondamento della libertà, dell’uguaglianza e della pace nella giustizia”.
Poi un monito forte che il Pontefice rivolge ai giovani invitandoli ad amare Cristo e la sua Chiesa per imparare a riconoscere nell’era moderna i valori veramente utili alla piena vocazione e realizzazione e i mali che intossicano lentamente la vita. “Cercate di non lasciarvi sedurre dal materialismo e da certi social network il cui uso indiscriminato potrebbe mutilare la vera natura delle relazioni umane”.

Nel testo della Ecclesia in Medio Oriente Benedetto XVI sottolinea anche l’importanza della formazione e indica la famiglia cristiana come luogo naturale dello sviluppo della fede dei giovani. Ben consapevole delle difficoltà che è possibile incontrare proprio in campo educativo l’analisi del Pontefice risulta però chiara: “In questi tempi tormentati, educare un bambino o un giovane è difficile. Questo compito insostituibile è reso più complesso ancora dalle particolari circostanze sociopolitiche e religiose in cui vive la regione. Perciò desidero assicurare i genitori del mio appoggio e della mia preghiera. È importante che il bambino cresca in una famiglia unita, che vive la sua fede con semplicità e convinzione. È importante per il bambino e il giovane vedere i genitori pregare. È importante che egli li accompagni in chiesa e che veda e comprenda che i suoi genitori amano Dio e desiderano conoscerlo meglio. Ed è ugualmente importante che il bambino e il giovane veda la carità dei suoi genitori verso chi ha realmente bisogno. Egli comprende così che amare Dio è buono e bello, e avrà piacere di essere nella Chiesa e ne sarà fiero perché avrà afferrato dall’interno e sperimentato chi è la vera roccia sulla quale costruirà la sua vita (cfr Mt 7, 24-27; Lc 6, 48)”.

Wojtyla e Ratzinger hanno a cuore la crescita sociale e spirituale di questa grande Nazione, spesso ricordata tra le pagine della Sacra Scrittura. Il dialogo che entrambi i pontefici aprono con i giovani mostra non solo il desiderio della Chiesa di voler parlare cuore a cuore con i propri figli – con schiettezza e senza tergiversare sulle verità che riguardano Dio e la dignità di ogni uomo – ma la certezza di poter ripartire da loro, dai giovani, per riprendere il cammino della fede cristiana interrotto dalla discriminazione, dalla violenza, dall’odio e dalla guerra.

Pubblicato su Korazym.org

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