Nostra Signora del Monte Carmelo


Le origini e la devozione per la Madonna del Carmelo sono antichissime. Potremmo datarle intorno al sec. IX a.C., più precisamente al tempo di re Acab (874-853 a.C.), periodo in cui visse uno dei più grandi personaggi conosciuti dalla letteratura anticotestamentaria: il profeta Elia. L’Ordine dei Carmelitani si distingue da altre realtà religiose per una particolare originalità: quella di non avere un vero e proprio fondatore. Ad iniziare la spiritualità carmelitana è, infatti, un anonimo nucleo di eremiti stabilitosi in Palestina, presso il Monte Carmelo, intorno al 1190.

Tuttavia il profeta Elia e la Vergine Maria, sono considerati i «Fondatori» dell’Ordine. Cerchiamo di scoprirne il motivo. Elia, già nel periodo medievale era ritenuto l’iniziatore di alcuni ordini religiosi, per il suo carattere contemplativo e proteso alla ricerca di Dio. Il Monte Carmelo (lunga catena montuosa del territorio palestinese), simbolo di bellezza e di fecondità per le ricchezze della sua vegetazione, è il luogo dove Elia, vincendo i sacerdoti di Baal (la divinità di quel tempo), difende la fede di Israele nell’unico vero Dio: Jahve. I carmelitani dunque riconoscono nella figura di questo Profeta il prototipo contemplativo con il quale possono confrontarsi. Elia è, infatti, l’uomo che si pone sempre alla presenza di Dio: «E’ vivo il Signore, dinanzi al cui volto io sempre sto!» (1Re 17,1); «ardo di gelosia per il Signore Dio degli eserciti».

Il Carmelo, però, è anche il luogo consacrato a Maria, dove i primi eremiti, di cui parlavamo prima, edificarono – agli inizi del XIII sec. – una chiesetta in suo onore, eleggendola loro Patrona e Titolare. Alle origini della realtà carmelitana c’è dunque una scelta mariana, un preciso taglio pedagogico che i primi eremiti hanno voluto dare alla loro spiritualità. Nella figura di Maria, il carmelitano è chiamato a contemplare quella che potremmo definire la struttura fondamentale del cristiano: la Madre di Dio protesa verso il Mistero che abita il suo corpo; cioè Maria intenta a guardare il Figlio crescere nel suo grembo, dentro un rapporto intimo che per definizione prende il nome di preghiera contemplativa. «Che spettacolo (racconta S. Teresa D’Avila) vedere Colui il quale può riempire mille mondi delle sue grandezze, rinchiudersi in uno spazio così piccolo (cioè nell’anima orante)! Allo stesso modo ha voluto rannicchiarsi nel grembo della sua Santissima Madre» (CE 48,3).
Nel momento in cui si realizza tutto questo, avviene un particolare scambio di ruoli: il Figlio (Gesù) con l’aiuto della Madre (Maria) impara a diventare grande e, la Madre impara a diventare «figlia» guardando il proprio Figlio. «Ella (sottolinea un grande teologo) dovrà compiere al contempo due cose: insegnare a suo Figlio ad essere uomo, e dunque non soltanto insegnargli a camminare e a parlare, bensì anche introdurlo alla religione dei Padri, ed ella dovrà imparare sempre più da suo Figlio come ci si comporta da figli di Dio».

Ben si intonano – a questo proposito – le parole con le quali S. Bernardo, nella Divina Commedia, rende lode alla Vergine Maria chiamandola: «Vergine Madre, figlia del tuo figlio» (Paradiso – XXXIII Canto). Non è difficile comprendere allora quanto sia importante per la spiritualità carmelitana questo principio mariano. Nel momento in cui nasce il primo Carmelo, Maria ne diventa subito un particolare punto di riferimento. L’obiettivo di primi monaci è chiaro sin dall’inizio: assomigliare sempre di più a Maria, per imparare da lei a contemplare il Mistero dell’Incarnazione. Tutto ciò è molto di più che una semplice devozione. Siamo di fronte a un modo particolare di vivere il rapporto con Dio, attraverso quella spiritualità mariana che i carmelitani – fin dalle loro origini – hanno voluto sottolineare nella loro realtà religiosa. «In Lei – recita il I prefazio della B.V. Maria nel Messale carmelitano – come in una perfetta immagine, noi vediamo realizzato quello che desideriamo e speriamo di essere nella Chiesa».

(Scritto per Korazym.org)

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