Don Pino Puglisi, il martire della verità sarà beato


“E’ stato ucciso non solo dalla mano assassina che lo ha colpito, ma da quelli che hanno deciso di disfarsi di lui per l’opera di evangelizzazione che compiva, e che aveva la sua necessaria proiezione sul piano della elevazione spirituale, morale, culturale e sociale… lo hanno perseguitato quegli «empi» di cui si legge nel libro della Sapienza, che mal sopportano i discorsi, gli esempi, le azioni dell’uomo giusto: «Tendiamo insidie al giusto, perché ci è di imbarazzo ed è contrario alle nostre azioni… E’ diventato per noi una condanna dei nostri sentimenti; ci è insopportabile solo al vederlo… Condanniamolo a una morte infame, perché secondo le sue parole il soccorso gli verrà» (Sap. 2 passim)”. Sono le parole che l’Arcivescovo di Palermo, il card. Salvatore Pappalardo, pronunciò durante la celebrazione del trigesimo di don Giuseppe Puglisi, il parroco di Brancaccio ucciso dalla mafia nel capoluogo siciliano la sera del 15 settembre 1993, nel giorno del suo 56° compleanno.

Esse descrivono bene il convincimento iniziale sostenuto dalla Chiesa palermitana immediatamente dopo il barbaro omicidio, il fatto cioè che don Pino Puglisi fosse stato ammazzato “in odio alla Fede”. Ed è proprio questa la motivazione principale che porterà agli onori degli altari il sacerdote palermitano, così come dirà formalmente la pubblicazione del decreto della Congregazione delle Cause dei Santi autorizzata in questi giorni da Papa Benedetto XVI. L’uccisione di Puglisi, probabilmente, fu anche la feroce risposta della mafia alle parole che Giovanni Paolo II pronunciò – quattro mesi prima dell’omicidio, nella Valle dei Templi ad Agrigento – contro la criminalità organizzata. Quella del Vangelo è però una verità che va ben oltre la morte, e i semi di pace e di carità piantati dal minuto prete di Brancaccio – in una terra dove spesso i capi mafia diventano idoli – non andarono dispersi. “Il riconoscimento del martirio di don Pino Puglisi – dichiara l’Arcivescovo di Palermo, mons. Paolo Romeo, appresa la notizia della beatificazione del sacerdote palermitano – mette in luce tutte le tenebre della mafia, del mondo dell’illegalità contraria al Vangelo. Il martirio è smascherare – come ha detto tante volte anche papa Giovanni Paolo II che ha parlato di conversione riferendosi ai mafiosi – questo schema e cioè che la mafia ha i suoi idoli e dei e non intende cedere niente”.

Nel corso della sua visita pastorale alla città di Palermo (Ottobre 2010), Benedetto XVI ha più volte ricordato il sacrificio di Padre Pino Puglisi, riconoscendo nel Parroco di Brancaccio gli elementi di una vita di fede eroica e luminosa: “Egli aveva un cuore che ardeva di autentica carità pastorale; nel suo zelante ministero ha dato largo spazio all’educazione dei ragazzi e dei giovani, ed insieme si è adoperato perché ogni famiglia cristiana vivesse la fondamentale vocazione di prima educatrice della fede dei figli. Lo stesso popolo affidato alle sue cure pastorali ha potuto abbeverarsi alla ricchezza spirituale di questo buon pastore (…). Vi esorto a conservare viva memoria della sua feconda testimonianza sacerdotale imitandone l’eroico esempio”.
Ancora più profondo l’invito del Pontefice, rivolto ai giovani palermitani, ad affondare, come gli alberi, le radici nel fiume del bene: “Non abbiate paura di contrastare il male! Insieme, sarete come una foresta che cresce, forse silenziosa, ma capace di dare frutto, di portare vita e di rinnovare in modo profondo la vostra terra! Non cedete alle suggestioni della mafia, che è una strada di morte, incompatibile con il Vangelo, come tante volte i nostri Vescovi hanno detto e dicono!”. “Il sangue dei martiri – come affermava Tertulliano – è seme di nuovi cristiani”.

Il martirio di Puglisi, inoltre, è un richiamo ecclesiale che va oltre il coraggio pastorale mostrato nel tenere testa ai soverchiatori della propria borgata di appartenenza. Puglisi stesso affermava: “Bisogna cercare di seguire la nostra vocazione, il nostro progetto d’amore. Ma non possiamo mai considerarci seduti al capolinea, già arrivati. Si riparte ogni volta. Dobbiamo avere umiltà, coscienza di avere accolto l’invito del Signore, camminare, poi presentare quanto è stato costruito per poter dire: sì, ho fatto del mio meglio”.

Una citazione del teologo K. Rahner, per concludere, dice l’importanza della vocazione sacerdotale e gli auspici legati al prete del futuro. Ma vista la corrispondenza con alcune recenti notizie in ambito ecclesiastico, crediamo si possa parlare dell’«oggi»: “Il sacerdote di domani sarà un uomo che sopporta la pesante oscurità dell’esistenza insieme con i suoi fratelli e le sue sorelle. Il sacerdote di domani non sarà colui che deriva la propria forza dal prestigio sociale della Chiesa, ma che avrà il coraggio di far sua la non-forza della Chiesa. Il sacerdote di domani sarà l’uomo dal cuore trafitto e solo da questa ferita sgorgherà l’efficacia della sua missione”.

(Scritto per Korazym.org)

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