Anche il Papa lo ricorda: dobbiamo scendere dal cavallo della nostra ragione "illuminata" 2


Io cominciai: «Maestro, quel ch’io veggio / muovere a noi, non mi sembian persone, / e non so che, sì nel veder vaneggio». / Ed elli a me: «La grave condizione / di lor tormento a terra li rannicchia, / sì che i miei occhi pria n’ebber tencione” (Purgatorio, canto X, 112-117).

Io cominciai a dire: «Maestro, quelle che vedo muoversi verso di noi non mi sembrano persone, e non so che cosa siano, tanto inutilmente guardo». Ed egli a me: «La grave qualità del loro tormento li fa rannicchiare fino a terra, tanto che prima anche i miei occhi restarono incerti se quelle fossero o non fossero persone». E’ l’immagine della pena che Dante riserva ai superbi nel decimo canto del Purgatorio della Divina Commedia. Per aver mostrato arroganza e alterigia nella vita, i superbi sono costretti a portare (secondo l’inesorabile legge del contrappasso) un enorme masso sulle proprie spalle e a guardare il volto di coloro che invece nella vita furono umili; così, chi in vita aveva guardato gli altri dall’alto al basso adesso si ritrovava rannicchiato su se stesso e schiacciato da un pesantissimo macigno per espiare il grave peccato della superbia.

Il famoso scrittore francese Honoré De Balzac a tal proposito (in pieno ottocento!) affermava: “La malattia del nostro tempo è la superbia. Ci sono più santi che nicchie”. Parole che, nonostante tutto, riescono a fotografare con estrema nitidezza persino il nostro tempo! Potremmo addirittura – per risultare ancora più moderni – considerare la superbia una “moda” piuttosto che una malattia. Sono infatti pochi coloro che guardano al primo dei sette vizi capitali come ad un terribile cancro interiore.

L’essere superiore a qualcosa o a qualcuno, o peggio ancora il “sentirsi” superiore, è una affascinante prerogativa per chi è capace di amare soltanto se stesso e i propri interessi! Ciò che preoccupa di più è però il progetto culturale che ruota attorno alla superbia. Puoi far crescere i tuoi figli, per esempio, facendogli credere che tutto gli appartiene perché il mondo e i suoi abitanti sono lo sgabello dei loro piedi; tanta gente (soprattutto a lavoro) ama essere adulata e osannata come un imperatore. “Persino quando si è sul banco degli accusati, – affermava Albert Camus – è sempre interessante sentir parlare di sé”. L’usciere in servizio al municipio crede talvolta di essere il Sindaco; ma anche in un qualsiasi ufficio pubblico o sanitario c’è sempre un impiegato o una capo sala che gestisce arbitrariamente “il potere” di farti attendere più del dovuto, perché magari hai chiesto una informazione in più o per una semplicissima ed epidermica antipatia!
Già, è proprio quello strano “potere” (un potere qualsiasi purché sia capace di dominare e schiacciare l’altro) che acceca l’uomo e lo irretisce con deliri di onnipotenza. I problemi diventano poi più complessi quando uno solo di questi fenomeni umani crede di essere “dio” stesso!

“La verità – osserva Gianfranco Ravasi – è che noi tutti siamo avvolti da una sottile rete di comunicazioni che hanno lo scopo di ridisegnare la realtà, i valori, le scelte così da catturare e orientare anima e cuore delle persone verso sbocchi interessati e talora inconfessabili. Tenere alto il vessillo della consapevolezza, della critica, della coscienza contro le falsificazioni è, allora, necessario anche se sembra più facile accodarsi alla deriva dei luoghi comuni dominanti. Per questo, riflettere e giudicare, vagliare e meditare sono atti decisivi di libertà”.
Non è forse questa la preoccupazione principale riscontrabile in diverse circostanze della nostra vita? Non siamo forse diventati il bersaglio umano più ambito dalle principali strutture mediatiche e sociali del nostro tempo? Sono in tanti ad avere la pretesa di conoscere l’uomo e i suoi desideri più reconditi; mercenari assoldati per ridisegnare il volto della persona e affiggerla in uno dei tanti cartelloni pubblicitari pensati dal mercato!
Bisogna raccogliere, allora, l’invito contenuto nell’esortazione di Gianfranco Ravasi prima proposta: “riflettere e giudicare, vagliare e meditare”; prendere le distanze dagli stereotipi menzogneri del nostro tempo che pretendono – usando la menzogna come strumento di adulazione – di costruire intorno a noi una cultura sempre più edonistica ed egocentrista.

Scritto per Korazym.org


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2 commenti su “Anche il Papa lo ricorda: dobbiamo scendere dal cavallo della nostra ragione "illuminata"

  • antonella

    La superbia,e’davvero un brutto tarlo che corrode la nostra anima,e serve solo ad inaridirci rendendoci indecorosi,e pure maleducati,ed e’un vero piacere pero’anche riscontrare che esistono persone che al contrario, sanno riempirti di gioia anche solo con un semplice gesto e, un sincero sorriso.Per fortuna!!!

  • Michelangelo

    Un semplice sorriso – come sottolinei bene tu, cara Antonella – ha un valore enorme e fa bene a chi lo riceve e a chi lo dona.