Gli Zingari d'Europa incontreranno il Papa


zingariIn occasione del 75° anniversario del martirio e dei 150 anni dalla nascita del Beato Zeffirino (Ceferino) Jiménez Malla (1861-1936), gitano e martire della fede di origine spagnola, circa 1400 zingari europei saranno ricevuti dal Papa in Vaticano. Lo rende noto il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Alcuni gruppi Rom, Sinti, Manuches, Kale, Yenish e Travellers d’Europa e d’Italia si recheranno, infatti, in pellegrinaggio a Roma l’11 e 12 giugno prossimi.

Benedetto XVI è il terzo pontefice che incontra ufficialmente le Comunità zingare; prima di lui Giovanni Paolo II, in occasione del Grande Giubileo del 2000 dove chiese perdono al Signore anche per i peccati commessi nei confronti degli Zingari dai figli della Chiesa, e ancor prima Paolo VI li aveva incontrati a Pomezia nel 1965.

Grazie all’interessamento e alla mobilitazione di Organizzazioni nazionali e internazionali – si legge comunicato stampa diramato dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti – numerosi Paesi stanno introducendo nuove iniziative per i Rom e per altri gruppi zingari, volte a favorire una loro positiva integrazione, che passa obbligatoriamente attraverso il rispetto dei fondamentali diritti umani, come l’istruzione, il lavoro, l’alloggio dignitoso e le cure mediche. È necessaria una sinergia di impegni da parte della società e dei Rom, Sinti e altri gruppi, per superare la diffidenza e incoraggiare nuove forme di incontro e dialogo finalizzate alla comprensione e all’accoglienza’.

Gli zingari (suddivisi in diverse etnie) nel mondo sono circa 36 milioni. L’organizzazione di questo pellegrinaggio è curata dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, in collaborazione con la Fondazione “Migrantes” della Conferenza Episcopale Italiana, la Diocesi di Roma e la Comunità di Sant’Egidio.

Zeffirino Jiménez Malla è il primo “zingaro” a cui la Chiesa riconosce il titolo di beato. Nasce a Benavent de Segrià in Catalogna nel 1861 in condizioni di estrema povertà.
Soprannominato “el Pelé”, Zeffirino si dedica al commercio distinguendosi per la sua grande sincerità e correttezza. Un gesto di grande carità, in modo particolare, lo renderà stimabile agli occhi di tutti. Un potente del luogo, affetto da tubercolosi, colto improvvisamente da malore svenne un giorno per strada e Zeffirino fu l’unico, tra i presenti, a prestargli immediato soccorso caricandolo sulle sue spalle per ricondurlo in casa. Questo gesto valse al povero mercante una lauta ricompensa che investì subito per migliorare le condizioni economiche della famiglia. Zeffirino e Teresa non hanno figli, decidono così di adottare Pepita, la nipotina di Teresa. La fede di Zeffirino nel frattempo è cresciuta; spesso lo si incontra per strada con in mano una corona di rosario o impegnato a soccorre gli zingari più poveri.
Nel luglio del 1936 la guerra civile mette in ginocchio la Spagna. Zeffirino, compiuti i 75 anni di età, viene arrestato con l’accusa di aver prestato aiuto a un sacerdote maltrattato da quattro miliziani anarchici. Un amico di Zeffirino – membro del Comitato rivoluzionario – gli suggerì, per aiutarlo a salvarsi, di rinnegare la fede cattolica e di disfarsi del Rosario che portava sempre con sé! Nella prigione non si doveva parlare di Dio! Ma Zeffirino non ebbe nessuna esitazione a perseverare nella fede e continuò a recitare quotidianamente il suo Rosario. La notte del 9 agosto i miliziani iniziarono a torturare ferocemente Mons. Florentino – consacrato Vescovo proprio in quell’anno – decidendo poi di fucilarlo insieme ad altri dodici prigionieri. Tra questi c’era anche Zeffirino.

P. Antonio Maria Sicari – il teologo carmelitano autore di numerose biografie di santi – del Beato Malla scrive: “L’aguzzino che, dopo averlo torturato in maniera terribile, lo conduceva sanguinante alla morte lo scherniva: «Non avere paura. Se è vero quello che predichi, andrai presto in cielo!». «Sì», rispose, «e là pregherò per te». Ricordiamo anche questa mite e coraggiosa figura di vescovo, perché fu con lui che Zefirino andò al martirio: il cristiano analfabeta della strada e il padre e maestro della diocesi camminarono fraternamente assieme. «Che bel giorno per me», disse il vescovo sul camion che li portava al luogo dell’esecuzione, in quella stellata notte di agosto. «Ma lo sai dove ti portiamo?», sghignazzarono i miliziani. «Mi portate alla casa del mio Dio, mi portate in cielo!». Queste furono le ultime consolanti parole della Chiesa che Zefirino probabilmente udì, mentre continuava a recitare in silenzio il suo rosario. Quando li fucilarono nel cimitero, il vescovo, lo zingaro e gli altri condannati gridarono assieme: «Viva Cristo Re!». Poi le guardie rubarono ai corpi martoriati anche i vestiti. Come un tempo a Gesù. Più tardi, finita la guerra, alcuni responsabili dei massacri vennero processati. Pare che sia stato arrestato anche colui che aveva dato allo zingaro il colpo di grazia. Al processo disse che quello era stato ucciso perché era un ladro di cavalli. Contava sul fatto che tutti son pronti a credere i gitani imbroglioni e ladri. Anche dopo morto, anche dopo il martirio, Zefirino veniva offeso dal pregiudizio razziale. Ma a Barbastro tutti – kalòs e payos – sapevano che «el Pelé» era un uomo giusto e che era morto per Dio e per la Santa Vergine. E mantennero desta la sua santa memoria” (P. Antonio M. Sicari, Santi del nostro tempo, Jaca Book).

Così, Giovanni Paolo II, ricordò la figura del martire gitano nel giorno della beatificazione: ‘Lo zingaro Ceferino Giménez Malla conosciuto come «El Pelé» morì per la fede in cui era vissuto. La sua vita dimostra che Cristo è presente nei diversi popoli e razze e che tutti sono chiamati alla santità, che si raggiunge osservando i suoi comandamenti e rimanendo nel suo amore (cfr Gv 15, 11). […] Il Beato Ceferino Giménez Malla seppe seminare concordia e solidarietà fra i suoi, mediando anche nei conflitti che a volte nascono fra «payos» e zingari, dimostrando che la carità di Cristo non conosce limiti di razza e di cultura. Oggi «El Pelé» intercede per tutti dinanzi al Padre comune e la Chiesa lo propone come modello da seguire ed esempio significativo dell’universale vocazione alla santità, specialmente per gli zingari che hanno con lui stretti vincoli culturali ed etici’ (Giovanni Paolo II, Città del Vaticano 4 maggio 1997).

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