Il coraggio della testimonianza


islamLa presenza dei cristiani in Medio Oriente è recentemente messa a dura prova. Le diversità culturali e la consapevolezza di abitare in un territorio a maggioranza islamico possono generare nel cristiano un eccessivo senso di inferiorità. Vi è tuttavia In agguato un ulteriore rischio: quello di adeguarsi alle abitudini del territorio e di rinunciare ad alcuni aspetti della cultura cristiana, creando così un’ulteriore spaccatura tra i cristiani che in molti territori del Medio Oriente vivono in minoranza. A tal proposito pubblichiamo la prima parte di un articolo tratto dal quotidiano Avvenire.

Cattolici, una bussola per il Medio Oriente
Il gesuita Samir Khalil: il «piccolo gregge» ritrovi il coraggio della testimonianza

di Giorgio PAOLUCCI (Avvenire 07.02.10)

Comunione e testimonianza sono le due parole-guida contenute nei «Lineamenta» del Sinodo per il Medio Oriente presentati o scorso 19 gennaio. Come declinarle in quelle terre? Ne parliamo con Samir Khalil, islamologo egiziano, gesuita, docente alla Saint Joseph University di Beirut, uno degli esperti che ha lavorato alla stesura del documento.

La Chiesa cattolica in Medio Oriente è un piccolo gregge con una grande missione. Quanto ne sono consapevoli i cattolici? Quanto invece prevalgono paura e rassegnazione?

All’interno delle comunità c’è una minoranza coraggiosa e impegnata nella testimonianza che incarna il concetto di «minoranza creativa» più volte evocato da Benedetto XVI, ma la maggioranza vive la sindrome dell’accerchiamento. Pesa il confronto con un mondo musulmano in cui crescono le posizioni radicali, che considerano chi non è musulmano come un cittadino di seconda categoria, una realtà da emarginare e, in certi casi, da eliminare fisicamente. Quanto accade in Iraq è drammaticamente eloquente, ma la situazione si fa sempre più difficile anche in Egitto, come dimostrano gli attacchi dei giorni scorsi ai copti, nella penisola araba (tranne qualche emiro illuminato che concede spazio ai cristiani), in Palestina dove il radicalismo islamico cresce. Anche in Libano il clima è più difficile e i cristiani continuano a emigrare. Si è creato un circolo vizioso: la diminuzione numerica alimenta l’insicurezza e crea ulteriore scoraggiamento, che a sua volta induce altri a partire.

Che fare di fronte a questa situazione?

Non dobbiamo cedere alla logica dei numeri e alla paura. Gli apostoli erano dodici e pieni di paura, ma la Risurrezione ha dato loro una forza di attrazione straordinaria. Non dobbiamo ripiegarci su noi stessi, ma coltivare la dimensione missionaria che appartiene alla natura stessa del cristianesimo. Se pieghiamo la schiena, ci sarà chi ci sale sopra per dominare ancora di più. Per essere una presenza significativa è necessario riacquistare la consapevolezza del compito che abbiamo: essere testimoni di Cristo e coltivare un progetto di convivenza tra culture e fedi diverse che riconosca legittimità piena alle minoranze. Del resto, molti musulmani riconoscono che la sparizione dei cristiani sarebbe una perdita per tutti, equivarrebbe alla negazione della vocazione storica delle nostre terre.

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